La testa, rivolta a destra e completamente calva, presenta un ovale regolare, il naso dritto e profondi solchi naso labiali. Tale fisionomia definisce l’opera come un ritratto di Scipione Africano, la cui immagine – derivata in realtà da prototipi antichi raffiguranti sacerdoti isiaci – era frequentemente riprodotta nei busti moderni riproducenti il console e generale romano. A rafforzare l’identificazione del personaggio, in questo ritratto si è scelto di utilizzare il marmo bigio per l’esecuzione della testa, e il marmo statuario nel busto, in un’inversione cromatica delle tradizionali raffigurazioni dei busti che doveva essere particolarmente apprezzata nel Seicento, secolo nel quale la critica colloca l’esecuzione dell’opera.
Il personaggio è ritratto con il viso rivolto leggermente a destra, la testa calva e l’ovale del volto pieno, il naso dritto da cui si sviluppano profondi solchi naso-labiali, secondo una iconografia tradizionalmente riferita a Scipione Africano. L’identificazione di tale fisionomia, derivata da prototipi antichi che ritraggono piuttosto sacerdoti isiaci (Faldi 1954, p.15; Galleria Borghese 2000, p. 76), con il generale e console romano era dovuta soprattutto dalla calvizie, motivata dal fatto che a lui si riconduceva l’introduzione a Roma della moda di radersi quotidianamente il capo (Palma Venetucci 1993, pp. 53-54). Il busto marmoreo riproduce una toga contabulata, ossia indossata con il lembo anteriore avvolto intorno al torace piuttosto che lasciato scendere verso il basso.
L’opera, di cui non è noto l’autore, è stata considerata un prodotto seicentesco per l’accentuata dicromia, che si caratterizza anche per l’uso del bigio per il volto – determinato dall’associazione tra il nome del personaggio e il colore della sua pelle – e la ripresa, priva di accuratezza filologica, del repertorio della statuaria romana, evidente nella raffigurazione di una toga contabulata, tipica dell’età tardo imperiale.
Faldi (1954, pp. 14-15) ha proposto di identificare il busto con quello registrato nel 1796 in una testata del portico (Lamberti, Visconti, I, p. 11), per via dell'illustrazione che mostra la stessa iconografia. Nell’Inventario Fidecommissario è descritto come esposto in sala I, in una nicchia della parete (1833, C, p. 44, n. 50), dove può ritenersi collocato in occasione del riallestimento della Villa Pinciana operato dall’architetto Antonio Asprucci.
Sonja Felici