Busto di Scipione Borghese
(Napoli 1598 - Roma 1680)
Scipione Borghese viene ritratto nel 1632 da Gian Lorenzo Bernini con la testa leggermente rivolta a sinistra e la bocca socchiusa, come se qualcuno lo avesse interrotto durante una conversazione.
La scelta di conferire una dimensione intima alla rappresentazione, declinata comunque secondo i canoni dell’ufficialità, segna un punto di svolta stilistico e formale nella produzione berniniana di busti. Primo fra i “ritratti parlanti” eseguiti dallo scultore, il busto di Scipione Borghese colpisce per la profonda resa psicologica e la potente forza espressiva.
Una crepa, apertasi sulla fronte del cardinale quando Bernini aveva ormai concluso il busto, costrinse lo scultore ad eseguirne una replica in tutta fretta – in quindici nottate secondo il racconto di Filippo Baldinucci, in tre giorni secondo suo figlio Domenico – arricchendo l’aneddotica sul suo incredibile virtuosismo.
Scheda tecnica
Inventario
Posizione
Datazione
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
Misure
Provenienza
Cardinale Scipione Borghese, 1632. Acquisto dello Stato, 1892
Mostre
- 1930 Roma, Istituto di Studi Romani
- 1998 Roma, Galleria Borghese
- 1999 Roma, Palazzo Venezia
- 2017-2018 Roma, Galleria Borghese
Conservazione e Diagnostica
- 1911 M. Eugenio
- 1997 C.B.C. Coop. a.r.l.
Scheda
Scheda Figlio di Ortensia Borghese, sorella di Paolo V, e di Francesco Caffarelli, Scipione Caffarelli Borghese venne adottato dallo zio Camillo a soli due mesi dall’elezione al soglio pontificio. Per tutta la durata del pontificato dello zio ricoprì cariche di grande responsabilità e potere: capo della Consulta, segretario dei Brevi, gran penitenziere, camerlengo, prefetto della segnatura di Grazia, per citarne solo alcune.
Il cardinale attese però fino al 1632, un decennio dopo la morte dello zio, per aggiungere alla sua collezione un proprio ritratto commissionato a Gian Lorenzo Bernini dal pontefice Urbano VIII, per il quale lo scultore ormai lavorava a tempo pieno nella basilica di San Pietro. “Il Cavalier Bernini di commissione del papa, ha fatto in marmo la testa del card. Borghese, che li ha donato in ricompensa 500 zecchini et un diamante di 150 scudi” (Archivio segreto estense, Cancelleria Ducale, Avvisi e Notizie dall’estero, busta 13, 5294/101, in Fraschetti, Il Bernini, 1900, p. 106 ss.). Il busto risulta essere stato pagato 500 scudi da Scipione Borghese nel dicembre del 1632 (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, Registro dei Mandati dell’Eminentissimo Cardinale Scipione Borghese, fol. 252, n. 491, in Hibbard, Un nuovo documento, 1961, pp. 101, 105).
L’attesa fu ripagata da quest’opera straordinaria, in cui lo scultore dà prova di un’incredibile evoluzione artistica. Il ritratto di Scipione segnò, infatti, un cambiamento stilistico e formale nella produzione berniniana di busti, per la volumetria più essenziale, la resa psicologica più approfondita e la maggiore forza espressiva. Come Rubens e Van Dick nella ritrattistica pittorica del ’600, Bernini inventò il motivo del colloquio con l’osservatore, cosicché il cardinale, seppure rappresentato secondo i canoni dell’ufficialità, acquista nel ritratto una dimensione intima. Scipione è colto nella transitorietà di uno stato d’animo: Bernini era convinto, infatti, che la somiglianza non si ottenesse copiando minuziosamente i tratti di un volto in posa, ma piuttosto rendendone l’individualità, che poteva essere trasmessa solo raffigurando il soggetto in movimento; non a caso gli studiosi definiscono questo genere di opere “ritratti parlanti” (Brauer, Wittkower 1931, p. 29 ss.).
Significativo in tal senso un confronto con lo studio preparatorio del ritratto, conservato alla Morgan Library di New York, l’unico rimasto dei numerosi che lo scultore doveva aver eseguito in funzione dell’opera. In esso l’artista colse con pochi tratti gli elementi caratterizzanti del volto del cardinale. Da una lettera del poeta Lelio Guidiccioni abbiamo una testimonianza sulla consuetudine del Bernini di lavorare il marmo mentre eseguiva il modello in creta e di disegnare direttamente sul blocco a carboncino, come parrebbe confermato dal rinvenimento di tracce scure negli occhi del cardinale (McPhee, in Bernini, 2017, p. 237).
Filippo Baldinucci (1682, pp. 18-20) racconta che solo a lavoro terminato, Bernini si accorse di un’imperfezione nel blocco di marmo, tale da provocare una crepa (detta anche pelo), tuttora visibile sulla fronte del cardinale. L’artista avrebbe quindi replicato il busto, realizzandone uno analogo nel tempo di quindici nottate – durata ridotta a tre soli giorni nel racconto del figlio Domenico (1713, p. 11). Tale aneddoto costituisce uno dei capisaldi su cui si basa la leggenda del virtuosismo berniniano.
A differenza degli artisti che lo avevano preceduto, il rapporto che Bernini aveva con la materia era disinvolto, sia per la decisione di non finire le zone non visibili delle sculture, sia nella scelta del blocco da scolpire, che non selezionava personalmente perché intendeva la scultura come manipolazione, abilità e ingegno. Grazie alla fluidità della lavorazione del marmo Bernini è riuscito qui a rendere la sensazione della pelle tesa e sudata nel volto e increspata nel collo, là dove poggia sul colletto, ma anche della superficie cangiante della seta della mozzetta, grazie alle diverse inclinazioni delle pieghe che, riflettendo variamente la luce, ne suggeriscono la marezzatura.
Il cardinale espose questa versione nella sala degli Imperatori tra i busti dei Cesari (Manilli 1650, p. 73), mentre la seconda nella galleria al primo piano nella pinacoteca, una collocazione che da sola dimostra la diversa stima che Scipione aveva delle due opere e come il difetto del marmo, pur ben visibile, non bastasse a rovinare l’immediatezza e la forza espressiva del ritratto.
Nell’inventario del 1762 il busto risulta esposto nella sala del Moro, attuale sala VII (Faldi 1953, p. 146, doc. I), mentre nel corso dell’Ottocento è nella sala IX, la cosiddetta “camera dei ritratti". Acquistato insieme alla seconda versione dallo Stato italiano nel 1892, in occasione della prima vendita delle opere Borghese escluse dal fedecommesso 1892 (Giacomini & Capobianchi, Roma, 28 marzo-9 aprile 1892, n. 341), è stato conservato nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia fino al 1908, per poi essere riportato nella Villa Pinciana.
Sonja Felici
Bibliografia
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- I. Manilli, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, Roma 1650, p. 73
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- Scheda di catalogo 12/01008681, Russo L. 1981; aggiornamento Felici S. 2020