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Piano di tavolo con tarsie marmoree e commesso di pietre dure

Manifattura romana


Questo tavolo, posto su una struttura lignea di gusto neoclassico, mostra un raffinatissimo piano a commesso, con un grande ovale al centro in alabastro orientale, inserito in una piastra di marmo nero antico decorata con fiori e volute vegetali in lapislazzuli, agata, onice e diaspro, il tutto contornato da una fascia con tarsie geometriche di marmi pregiati. L’opera, da attribuirsi a una delle botteghe romane specializzate in tali lavori, è documentata nella collezione Borghese sin dal XVII secolo. 


Scheda tecnica

Inventario
mobili-27
Datazione
ultimo quarto del XVI secolo
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
alabastro, verde antico, nero antico, broccatello di Spagna, calcedonio orientale, semesanto, agata e diaspri
Misure
cm 98 x 180 x 3,1/4
Provenienza

Collezione Borghese, attestato dal 1650; Inventario 1765, n. 32; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, cappella, n. 126. Acquisto dello Stato, 17 novembre 1904.

Mostre
  • 2017 Maastricht, Fiera Antiquariato - Tefaf
  • 2022 Roma, Galleria Borghese
Conservazione e Diagnostica
  • 2022 Matilde Migliorini

Scheda

«Scontro [sic] alla statua del Gladiatore è posta una tavola, col fondo di marmo nero antico, lunga otto palmi e mezzo e larga cinque, commessa tutta di pietre di valore, come lapislazzuli, diaspri, madreperla, e simili con ovato in mezzo di alabastro orientale, di colore rossigno e con la cornice di marmo nero» (Manilli 1650, p. 81). Così Giacomo Manilli, nella sua descrizione del casino Borghese, segnalava questo singolare piano in marmi e pietre dure, su cui mezzo secolo dopo ritornò Domenico Montelatici (1700, pp. 219-220). Questi riferì che alla sua epoca il manufatto era utilizzato a mo' di appoggio per ospitare il «Giuoco di sedici fanciulli, che sferzano, e tirano per le corna un caprone», ossia il Baccanale di putti su fondo di lapislazzuli di Giovanni Campi (inv. CCLXXVI), e le due statuette di Cacciatori in pietra di paragone, eseguite tra il 1651-1653 dal medesimo scultore (invv. CCLXXIV-CCLXXV). 

Documentato dall'inventario del 1765 nella stessa stanza, ritorna infine sia nell'inventario fidecommissario del 1833, sia nell'atto di vendita degli arredi del casino pinciano del 1904, anno in cui gli eredi Borghese lo cedettero allo Stato italiano. 

Attualmente questa raffinata composizione poggia su una struttura di gusto neoclassico, disegnata forse dall'architetto Antonio Asprucci (Gregori 1966, pp. 3, 129), in sostituzione di un «pie di legno [...] ricoperto tutto d'oro e intagliato attorno con fogliami e con Aquila in faccia e quattro putti negli angoli a cavallo a quattro draghi» (Montelatici 1700, pp. 219-220) che probabilmente mal si adattava al resto del mobilio, rifatto intorno agli anni Settanta del Settecento. Tale base rimpiazzava a sua volta un piede di noce «intagliato a Termini» (Manilli 1650, p. 81) che a metà Seicento ben si integrava al resto della stanza, dialogando con la raccolta di statue antiche. 

Seguendo un modello tipicamente romano, dettato dall'esempio del Tavolo Farnese (González-Palacios 2004, pp. 261, 280) questo piano esibisce un grande ovale al centro in alabastro orientale, inserito in una piastra di marmo nero antico, decorata con fiori e volute vegetali in lapislazzuli, agata, onice e diaspro, il tutto contornato da una fascia con rondelle in breccia quintilina e tarsie di broccatello di Spagna, verde antico e semesanto, materiale, così ribattezzato dai lapicidi romani, i cui granuli ricordavano i confetti medicinali. L’uso di queste pietre e la tipologia di alcuni abbellimenti, come il grande occhio centrale, gli scudi a pelta e la fascia-collarino con guarnizioni geometriche interno all'ovale, rimandano alla manifattura romana della seconda metà del Cinquecento, allontanando di conseguenza il presente commesso dall'ambito fiorentino cui era stato in passato avvicinato sia per la resa stilizzata dei fiori sia per la presenza della corolla a cinque petali (S. Staccioli, in Opere in mosaico 1971, pp. 42-43), un motivo tipico delle officine di quella città della seconda metà del XVI secolo ma diffuso contemporaneamente anche nell'Urbe come provano il Tavolo Farnese, realizzato nel 1565 su disegno di Jacopo Barozzi il Vignola (New York, The Metropolitan Museum of Art, inv. S8.57a-d; Raggio 1959-1960, p. 231; González-Palacios 2001, p. 50), e quello già Burnay, eseguito sempre a Roma qualche decennio più tardi (Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga, inv. 1301; cfr. M. Sousa, in Henri Burnay 2003, pp. 218-220). 

Come espresso da Sara Staccioli (in Pittura su pietra 1971, pp. 42-43), per la sua decorazione questo manufatto ricorda il tavolo appartenuto al gentiluomo inglese William Beckford, proveniente da palazzo Borghese di Campo Marzio (cfr. Wainwright 1970, p. 52) da dove pare fosse stato prelevato durante le campagne napoleoniche per essere portato a Parigi e lì comprato dal noto viaggiatore (Charlecote Park, Warwickshire: Wainwright 1971, p. 52; González-Palacios 2001, p. 73). Purtroppo, come per questo pezzo, anche per la lastra Borghese non è stata avanzata alcuna proposta di attribuzione, né è stato possibile avvicinarla a uno degli artefici di simili oggetti prodotti a Roma nello stesso torno di anni (Tavolo Calderon, Madrid, Museo del Prado, inv. 0000448; Tavolo Grimani, collezione privata, già Sotheby's, Londra, 10 dicembre 2015, lotto 202) che di fatto restano ancora in cerca d'autore. 

Tuttavia, si potrebbe ipotizzare il contesto entro cui lavorò il nostro esperto artefice, attivo nell'Urbe allo scadere del XVI secolo in uno di quei cantieri che, come la cappella Gregoriana, la Sistina e la Clementina, videro alternarsi famosi architetti e abili artigiani. Tra i maestri ai quali sicuramente guardò l'autore del piano Borghese vi furono l'architetto fiorentino Giovanni Antonio Dosio (Morrogh 2011, pp. 447-448) e lo scultore lombardo Giovanni Battista Della Porta, responsabile della decorazione della cappella Caetani in Santa Pudenziana a Roma e titolare insieme al fratello Tommaso di una bottega specializzata nella lavorazione di marmi policromi. 

Come è noto, oltre a un cospicuo numero di statue antiche, la famiglia Borghese acquisì una moltitudine di lastre in marmo e pietre dure appartenute a Giovanni Battista, tra le quali non risulta difficile immaginare questa ricercata composizione, eseguita in un laboratorio come quello - se non in quello - dei Della Porta, dove fianco a fianco operavano specialisti in grado di ridurre grandi lastre e di lavorare piccole pietre, adoperate per intarsiare tavoli e quadri (Panofsky 1993, pp. 149-152; Ioele 2016, pp. 161-178, 184, 326). 
Al di là di questa ipotesi, al momento difficile da dimostrare, un'altra possibile strada conduce alla dimora capitolina del cardinale Ferdinando de' Medici, noto all'epoca per la sua passione per i marmi e le pietre dure provenienti da monumenti antichi. Si sa che il prelato toscano si distinse sia come acquirente di tavoli, sia per aver allestito presso palazzo Firenze una sorta di officina per la creazione di piani lapidei (Giusti 2018, p. 121). La presenza di questo singolare laboratorio, attivo a partire dal 1565 nel cuore dell'Urbe dove il gusto mediceo per i commessi incontrava quello romano, fa sospettare che il tavolo Borghese possa far parte dei lavori eseguiti sotto l'attento sguardo del cardinale fiorentino, passato successivamente nella raccolta pinciana. Tale idea si lega al fatto che ben tre dipinti, commissionati a Jacopo Zucchi da Ferdinando de' Medici, per motivi non ancora chiari presero la stessa strada, passando in data imprecisata dalla ricca collezione medicea alla Galleria Borghese, dove tuttora si conservano (invv. 010, 292, 293). Tale ipotesi, tutta da provare, giustificherebbe, tra l'altro, non solo l'assenza dei pagamenti nei registri di casa Borghese di un manufatto così prezioso, ma anche quelle relazioni della sua foggia con i disegni di Dosio e i modelli del Vignola.


Antonio Iommelli




Bibliografia
  • I. Manilli, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, Roma, Grignani, 1650, p. 81
  • D. Montelatici, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, Roma 1700, pp. 219-220
  • Opere in mosaico, intarsi e pietra paesina. Catalogo, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 1971-1972), Roma 1971, pp. 42-43, n. 23
  • Pittura su pietra, catalogo della mostra (Firenze, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, 1970), a cura di Marco Chiarini, Annapaula Martelli Pampaloni, Anna Maria Maetzke, Firenze 1970
  • C. Wainwright, William Beckford e la sua collezione - parte 2, «Arte Illustrata», IV, 39-40, 1971, pp. 52-60
  • G. Panofsky, Tommaso Della Porta's 'Castles in the Air', «Journal of the Warburg and Courtald Institutes», LVI, 1993, pp. 119-167 A. González-Palacios, Las colecciones reales españolas de mosaicos y piedras duras, catalogo della mostra (Madrid, Museo Nacional del Prado, 2001), Madrid, Museo Nacional del Prado, 2001
  • Henri Burnay. De banqueiro a coleccionador, catalogo della mostra (Lisbona, Casa-Museu Dr. Anastácio Gonçalves, 2003), a cura di Maria Antonia Pinto de Matos, Lisboa, Casa Museu - Anastácio Gonçalves, 2003
  • A. González-Palacios, Arredi e ornamenti alla corte di Roma, 1560-1795, Milano 2004, pp. 261, 280 nota 5.
  • A. Morrogh, L''Anonimo Gaddiano', Dosio e Niccolò Gaddi, in Giovanni Antonio Dosio da San Gimignano architetto e scultor fiorentino tra Roma, Firenze e Napoli, a cura di Emanuele Barletti, Firenze 2011, pp. 447-456
  • G. Ioele, Prima di Bernini. Giovanni Battista Della Porta scultore (1542-1597), prefazione di Giovanna Sapori, Roma 2016
  • A. Giusti, Arte regale: pietre dure da Firenze alle corti d'Europa, in Pietre colorate 2018, pp. 119-137