Il lacerto musivo antico, inserito nel piano di un tavolo settecentesco e delimitato da due cornici floreali moderne, raffigura due amorini in atto di vendemmiare, nudi e alati, dai tratti particolarmente stilizzati.
Questa caratterizzazione, riscontrabile in altri esemplari noti, porta ad inquadrare il mosaico nella metà del IV secolo d.C.
Il tavolo, in legno dorato, ha gambe dritte scanalate, fascia in verde con applicati motivi decorativi e piano in breccia verde nel quale è inserito il mosaico che include al centro il lacerto antico sagomato. Fu realizzato nell’ambito del rinnovamento della palazzina e dei suoi arredi voluto dal principe Marcantonio Borghese nel periodo tra il 1775 e il 1790, su progetto e sotto la direzione dell’architetto Antonio Asprucci.
Realizzato nel corso del nuovo allestimento tardo-settecentesco della Villa Pinciana, con un mosaico di provenienza archeologica (González-Palacios 1993, pp. 232-243). Citato nell’Inventario del 1 gennaio 1841 (Arch. Galleria Borghese A III/10). Acquisto dello Stato, 1905.
Il frammento musivo è inserito sul ripiano di un tavolino in marmo al quale è stato adattato con risarciture di grandi tessere bianche e due cornici floreali ai lati. Il tavolo fu eseguito quasi sicuramente nel corso del rinnovamento neoclassico della Palazzina, avvenuto per volere del principe Marcantonio IV sotto la direzione dell’architetto Antonio Asprucci (González-Palacios 1993, pp. 232-243).
Il tavolo, in stile Luigi XV, ha piano marmoreo in breccia verde rivestito con mosaico in tessere lapidee, bordato di filo metallico con motivo a corda e rosette. Al centro del piano, giallo dorato, con motivo decorativo in verde, a cespo di foglie stilizzate ai due lati e quattro tondi agli angoli, è inserito il mosaico antico raffigurante eroti vendemmianti, sagomato alle due estremità. Ha fascia in verde con applicazioni di rosette, girali e festoni, profilato in alto da motivo a Spitzenstab – fogliette triangolari rovesciate – e in basso da motivo a fusarole. La gamba è dritta, scanalata; alla base di contatto col piede si dipartono foglie lanceolate.
Per l’inserimento del lacerto di mosaico archeologico nel piano sono stati ipotizzati dalla critica diversi nomi di mosaicisti. Uno di questi è Carlo Lecchini, che nel 1775 aveva approntato piani per tavolini con frammenti di mosaici di scavo; secondo Palacios (1994) probabilmente sono sue alcune tavole di questo tipo tuttora nel museo. Pompeo Savini fu un altro mosaicista grazie al quale l'utilizzo del mosaico, sia antico sia moderno a imitazione dell'antico, si diffuse largamente (L. Ferrara, Pompeo Savini, Vencesalo Peter e il mobile neoclassico Romano, in “Palatino” n. 3, 1968); poiché è noto che il Savini era in stretto contatto con l'ambiente dei Borghese (copiò a mosaico il rilievo delle "Ore" borghesiane ora al Louvre, eseguì numerosi mosaici su disegno di Venceslao Peter), S. Staccioli (1971) lo propone come possibile autore anche del tavolo nella sala X. Tuttavia dal confronto con i due piani dei tavoli, sicuramente opera del Savini, attualmente nel Museo Nazionale di Varsavia, i due piani sembrano di diversa esecuzione. La stessa Staccioli ha anche pensato a un collaboratore del Savini o a un artista operante nella sua cerchia, come per esempio Paolo Tozzi, che nel 1780 lavorò nella Villa. Trattandosi infine di un tavolo eseguito quasi sicuramente nel corso del rinnovamento neoclassico della palazzina non è da escludere che esso sia stato realizzato, al pari di molti mobili e altri oggetti di arredamento, forse da un’idea dello stesso Asprucci.
Paola Berardi
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Della parte antica si conservano le figure di due Eroti, nudi ed alati, nell’atto di vendemmiare: quello di sinistra trasporta una cesta piena d’uva sul capo con entrambe le mani, l’altro è voltato verso di lui e lo incita con il braccio destro teso, mentre con la mano sinistra sorregge un recipiente più piccolo verso il tino. Sullo sfondo è presente un tronco spoglio e in basso, in primo piano, una roccia. Il soggetto iconografico si ritrova particolarmente diffuso nel mondo romano, soprattutto in ambito privato, per il suo valore evocativo di benessere paradisiaco. La stilizzazione dei tratti fisionomici che caratterizza le due figure, con elementi del volto e parti anatomiche resi schematicamente mediante semplici tratti di tessere accostate, trova confronto in alcuni mosaici di medesimo soggetto del IV secolo d.C. Una particolareggiata scena di vendemmia decora il soffitto della volta del Mausoleo di Santa Costanza sulla via Nomentana, mentre scene di coltivazione della vite, di vendemmia e di pigiatura dell’uva ornano i pavimenti di alcuni ambienti attigui al Portico ovoidale nella Villa Romana del Casale a Piazza Armerina.
Giulia Ciccarello