Il busto riproduce le fattezze di Gaio Giulio Cesare. Il volto, leggermente girato a sinistra, ha l’ampia fronte incorniciata da una breve frangetta con compatte ciocche arcuate e solcata da profonde rughe nella parte inferiore. Le evidenti pieghe naso labiali, asimmetriche, inquadrano la bocca, dalle labbra ben definite. Indossa l'armatura, sotto la quale si intravedono la scollatura e le maniche della tunica, e il mantello da generale appuntato sulla spalla destra con una fibula circolare.
L’opera fa parte di una serie raffigurante i "Dodici Cesari" e proviene dalla collezione di sculture di Giovan Battista della Porta, acquistata nel 1609 da Paolo V e collocata dalla fine del Settecento nelle nicchie delle pareti del Salone d’ingresso alla Villa Pinciana. La critica è concorde ad attribuirne anche l’esecuzione a Giovanni Battista della Porta, con una datazione all’ultimo quarto del Cinquecento.
Il personaggio raffigurato è Gaio Giulio Cesare, il cui volto è ritratto con le caratteristiche del II tipo della sua ritrattistica romana, prodotto postumo probabilmente in occasione della divinizzazione (42 a.C.).
La testa è leggermente girata a sinistra; Cesare ha l’ampia fronte incorniciata da una breve frangetta con compatte ciocche arcuate e solcata da profonde rughe nella parte inferiore. Gli occhi sono privi di pupilla; dal naso partono due profonde pieghe, asimmetriche, che arrivano a circondare la bocca, dalle labbra ben definite. Indossa l'armatura, avvolta dal mantello da generale, appuntato sulla spalla destra con una fibula circolare; dallo scollo della corazza si intravedono il bordo e le maniche della tunica.
I tratti idealizzati, improntati al classicismo, del prototipo antico vengono qui irrigiditi e approfonditi, a restituire un volto stereotipato del dittatore, in cui le rughe sulla fronte e agli angoli degli occhi non trovano corrispondenza nelle sopracciglia e nello sguardo disteso del volto. Anche le pieghe intorno alla bocca, pesantemente accentuate, non definiscono l’espressione del personaggio e incorniciano una bocca convenzionale, laddove nei prototipi antichi le labbra erano contratte, a definire un’espressione volitiva. Anche la riproduzione delle vesti militari sembra rispondere soprattutto a una visione stereotipata dell’antico, tipica delle riprese moderne del soggetto.
Il ritratto fa parte, insieme ad altri undici esemplari, della serie denominata dei "Dodici Cesari", comprendente i personaggi narrati da Svetonio e appartenente alla collezione di sculture di Giovan Battista della Porta, che l’artista lasciò in eredità ai fratelli Tommaso e Giovan Paolo. Quest'ultimo, nell’ottobre del 1609, li vendette – insieme all’intera raccolta – a Paolo V che li acquistò per conto di Giovanni Battista Borghese. I busti vennero trasferiti prima nel Palazzo Borghese (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 7923, f. 121v-122r, in Faldi 1954, p. 51, doc II) e, dal 1615, posti nel salone d'ingresso della Villa Pinciana sopra sgabelloni di noce intagliati da Giovanni Battista Soria (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 4173, 12 agosto 1615, Conto di lavori di legname fatti da G.B. Soria per la villa di Porta Pinciana, in Faldi 1954, p. 51, doc. III).
Faldi scrive che alla serie erano uniti altri due busti, di Scipione Africano e Annibale Cartaginese, non compresi nella raccolta iniziale e dispersi dopo il riordino della collezione avvenuto nell’ultimo quarto del Settecento, quando i 12 busti furono spostati all’interno di nicchie nelle pareti dello stesso salone di ingresso (1954, p. 50).
Confusi dal Baglione (Le vite, 1642, p. 74) con la serie venduta nel 1562 da Tommaso della Porta il Vecchio al Cardinale Alessandro Farnese (conservata nella Galleria di Palazzo Farnese a Roma), sono stati ritenuti dal Faldi opera autografa di Giovanni Battista, non solo sulla scorta delle notizie documentali, ma anche per il confronto con opere certe dell'artista, la cui fredda e archeologizzante maniera risulta qui applicata a una generica imitazione di modelli antichi (Faldi 1954, p. 50).
Le teste presentano tra loro difformità stilistiche: per alcuni di esse, che hanno gli occhi dotati di iride e di pupilla incisa ad archetto e la superficie del volto ben levigata e compatta, l’autografia appare coerente con il resto della produzione di Giovanni Battista Della Porta, mentre in un altro gruppo, composto da ritratti dagli occhi grandi e privi di iride e pupilla e differenti tra loro per la resa della capigliatura, l’intervento dello scultore lombardo potrebbe consistere più probabilmente in una rilavorazione e un adattamento di parti di riuso.
Sonja Felici