Sul fondo in ardesia si stagliano, modellate in cera bianca, le tre croci con Cristo e i due ladroni, ai cui piedi è raffigurata una moltitudine di persone, composta da uomini impegnati a sollevare e assicurare le croci, centurioni romani a cavallo che puntano le loro lance verso Cristo e figure in abiti orientali che discutono. L’agitazione sembra propagarsi al primo piano, attraversando le rocce, unico accenno al Monte Golgota: sulla destra due soldati si stanno contendendo le vesti di Cristo, mentre altri due si combattono armati di pugnali; a sinistra, la Madonna sviene, sopraffatta dal dolore, ed è sostenuta dalle pie donne e dalla Maddalena, san Giovanni Evangelista si raccoglie in preghiera.
La ricca ed elaborata cornice in ebano, bronzo, lapislazzuli e pietre dure è coeva al bassorilievo; l’insieme è documentato nelle raccolte Borghese dal 1619. La Crocifissione di Cristo è stata attribuita a Guglielmo della Porta sulla base di analogie stilistiche con un altro rilievo conservato a Stoccolma e con alcuni disegni della Kunstakademie di Düsseldorf.
Il rilievo si caratterizza per la netta bicromia, in cui il fondo scuro in ardesia mette in evidenza le figure modellate in cera bianca, soprattutto nella parte superiore dove le tre croci catturano immediatamente l’attenzione dell’osservatore, immergendolo nella cupa e drammatica atmosfera della scena. Sulla croce al centro è Cristo con la testa reclinata. Rivolto verso di lui, sulla croce a sinistra, è il buon ladrone, con le braccia aperte e sollevate, in gesto di preghiera; a destra, il cattivo ladrone rivolge invece le spalle a Cristo e ha le braccia appese alla croce, da cui pende esanime. Numerosi gli uomini impegnati nella crocifissione, circondati da scale, seghe e altri strumenti e incitati da soldati romani a cavallo e personaggi col turbante che discorrono. In primo piano sulla sinistra sono la Vergine, sostenuta dalle pie donne e dalla Maddalena, e san Giovanni, con la disperazione nel volto, che si raccoglie in preghiera. Sulla destra due soldati si contendono le vesti di Cristo, e altri due si affrontano armati di coltelli. Il rilievo è ricco di dettagli e, soprattutto nelle figure in primo piano, si caratterizza per un vigoroso modellato, panneggi articolati e scavati profondamente a sottolineare gesti e movimenti.
Non si conoscono la data e le modalità con cui il rilievo entrò nelle raccolte Borghese, dove risulta citato per la prima volta in un inventario del 1619 (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, Nota delle gioie consegnate a D. Marcantonio Senior, 1619, n. 292). Montelatici (1700, p. 304) lo ricorda in uno dei camerini al primo piano della Villa Pinciana, dove era esposto insieme ad altri quattro rilievi, eseguiti tutti con materiali diversi. Venturi lo definì di scuola michelangiolesca (1893, p. 218), mentre Middeldorf fece per la prima volta il nome di Guglielmo Della Porta, basandosi sul confronto con alcuni disegni dell’artista conservati nella Kunstakademie di Düsseldorf. Lo studioso, rileggendo un passo delle Vite in cui Vasari parla di 14 modelli per rilievi eseguiti dallo scultore per delle fusioni in bronzo, ha ipotizzato che il presente lavoro fosse uno di essi (anche se le dimensioni non coincidono). Egli riteneva inoltre che un allievo dello scultore fosse intervenuto in alcuni particolari, facendo a tal riguardo il nome del fiammingo Jacob Cobaert (Middeldorf 1935, pp. 90-96). Nonostante la finitezza dei particolari, Faldi riteneva difficile che potesse trattarsi di un’opera autonoma, ipotesi con la quale a suo avviso contrasta l’uso di cera bianca, e considerava il rilievo preparatorio per una fusione in metallo (1954, p. 51). Herrmann Fiore fa riferimento a una porta in bronzo per la basilica di S. Pietro (1999, p. 38); commissionata a Guglielmo della Porta da papa Pio IV e mai realizzata, essa doveva essere composta di otto formelle, di dimensioni necessariamente più grandi del presente rilievo (Extermann 2012, pp 67-69).
L’attribuzione al Della Porta, accolta da Venturi (1937, p. 544) e della Pergola (1951, p. 37), non è riportata da De Rinaldis, che opta per un ignoto scultore fiammingo (1948, p. 53). Più recentemente Gabhart ha evidenziato una stringente correlazione con una Deposizione in oro conservata alla Walters Gallery di New York (Gabhart 1968-69, p. 31).
Sonja Felici