Questa tela è entrata a far parte della raccolta Borghese intorno ai primi anni del XIX secolo, precedendo di pochi anni l'acquisto della Danae di Correggio comprata nel 1827 da Camillo Borghese. Insieme a questa Leda, il principe entrò in possesso anche della copia di Giove e Io (inv. 128) ricomponendo idealmente la serie degli Amori di Giove donata nel 1530 dal duca di Mantova, Federico II Gonzaga, all’imperatore Carlo V.
Questa copia, di fattura alquanto modesta, riproduce però soltanto l'atto conclusivo dell'incontro amoroso narrato da Ovidio, quello in cui Leda raccoglie le vesti mentre il cigno si invola verso l'alto: si tratta con tutta evidenza di una replica parziale con alcune varianti poiché nella versione autografa, conservata presso la Gemäldegalerie di Berlino, i panni sono posti alla fanciulla da un'ancella mentre il cigno vola via senza voltarsi.
Salvator Rosa cm 77 x 61 x 5
(?) Parigi, collezione Pierre Crozat, 1741 (Mariette 1741, p. 32, n. 102; M. Stuffman 1965 in Arch. Borgh. 407, pos. VII/I); Roma collezione Camillo Borghese, 1812 (Inventario 1812, p. 110); Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 25). Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questa teletta resta tuttora ignota. Infatti, nonostante il tentativo di identificarla, assieme al Giove e Io (inv. 128), con le due analoghe composizioni documentate nel 1741 nella raccolta di Pierre Crozat (l'ipotesi è stata sostenuta da Margret Stuffmann in una lettera datata 1965, inviata alla Galleria), la critica ha sempre preferito sorvolare su questa affascinante e probabilissima ipotesi, forse ritenendo che la fortuna riscossa dagli originali ha prodotto nei secoli numerose repliche e varianti presenti nelle più importanti quadrerie del mondo (cfr. Quintavalle 1970).
Se si esclude tale pista, non resta che ipotizzarne l'ingresso nella raccolta pinciana tra la fine del XVIII e i primi anni del XIX secolo, essendo il quadro praticamente assente in tutti gli inventari sei-settecenteschi della collezione. È solo nel 1812, infatti, che la tela appare per la prima volta tra i beni della famiglia Borghese, descritta insieme al Giove e Io nella stanza detta 'delle Veneri', allestita presso uno degli ambienti del palazzo di Campo Marzio (Minozzi 2008).
Probabilmente con quest'opera, eseguita secondo Paola della Pergola (Ead. 1955) da uno dei seguaci di Francesco Albani, Camillo Borghese volle idealmente ricostruire la serie degli Amori di Giove, acquistando di fatto pochi anni dopo lo splendido autografo correggesco raffigurante la principessa Danae (inv. 125), già parte - come è noto - delle collezioni di Carlo V e, a partire dal 1598, di Rodolfo II di Praga.
La presente copia, ricavata forse dalla Leda Rospigliosi-Colonna-Costaguti-Ferraguti (Della Pergola 1955) - riproduce secondo Knauer (1970) solo una piccola porzione della tavola originale, ciò dovuto alla collocazione alquanto scomoda della versione correggesca, la cui posizione sulle pareti della quadreria praghese avrebbe reso alquanto difficile una sua completa riproduzione. Pertanto, al pari di molte altre copie, la versione borghesiana (che però non è citata dallo studioso) mostrerebbe soltanto quel dettaglio ben visibile ai pittori, ossia l'atto conclusivo del mitico abboccamento, quando Leda raccoglie le vesti mentre il cigno vola via verso l'alto.
Antonio Iommelli