Come il Paesaggio con figure di dame e cavalieri di Nicolò dell'Abate, di cui fu a lungo ritenuto il pendant, il dipinto faceva probabilmente parte del nucleo di opere ferraresi giunte nella collezione del cardinale Scipione. L'iscrizione con la data è apposta sopra l'arco d'ingresso dell'edificio in primo piano, da cui si snoda il corteo, caratterizzato da uomini con abiti bizzarri e animali fantastici. Lo stile grafico, preciso e delineato, insieme alla disposizione paratattica delle figure e delle quinte del paesaggio, differenzia l'opera dall'analoga tela di Nicolò dell'Abate.
Inventario Paolo Savelli, 1610 (Spezzaferro 1985; Fumagalli 2007); Inventario 1630 ca., n. 26; Manilli 1650, p. 100; Inventario 1693, Stanza IV, n. 167; Inventario 1790, Stanza X, n. 6; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 13. Acquisto dello Stato, 1902.
Sebbene parte della critica si sia espressa in favore della provenienza Aldobrandini di questo dipinto (per la discussione di questa ipotesi e la rilettura dei documenti si rinvia a Herrmann Fiore 2002), sembra più opportuno accogliere la tesi dibattuta in tempi recenti da Elena Fumagalli (2007), che ricondurrebbe l’arrivo a Roma di questo enigmatico dipinto attraverso il principe Paolo Savelli, il quale lo donò al cardinal Borghese (Spezzaferro 1985). Nell’altro quadro presente nei documenti inventariali del cardinal Pietro Aldobrandini fin dal 1603, potrebbe essere riconosciuto un dipinto dossesco di simile tipologia pittorica, che doveva avere avuto una significativa fortuna nella Ferrara del Cinquecento.
Il documento Savelli parla di un «quadro con fantasime», che ben si candida ad essere il precedente dell’inventario Borghese del 1693 (st. IV, n. 167), in cui all’interno del dipinto è descritto un «carro tirato da un camello». Effettivamente, questa particolarissima scena, che è stata convenzionalmente denominata Corteo magico, presenta tutta una serie di personaggi, strumenti e animali che sono al limite tra il reale e il fantastico, il teatrale e il carnevalesco, in piena linea con il clima goliardico che talvolta si instaurava nella capitale estense in occasione di cortei festosi cittadini (Tuohy 1996).
Il dipinto, grazie ad una iscrizione presente sulla porta della casa posta in primo piano, è databile al 1528 e risulta di particolare interesse poiché è uno dei più antichi e rari casi della conoscenza delle opere realizzate dall’olandese Hieronymus Bosch ('s-Hertogenbosch, 1453 –1516) presenti e note su territorio italiano grazie alla loro presenza nella collezione Grimani di Venezia (Limentani Virdis 1997) e alla loro diffusione per mezzo delle xilografie di sua invenzione.
Risulta spinosa e ancora controversa la questione attributiva, sebbene il dipinto sia comunque da ricondurre all’area ferrarese. Nei documenti inventariali, l’opera viene sempre attribuita ai Dossi, fino a quando comparve una attribuzione a Girolamo da Carpi (Gamba 1924), talvolta condivisa anche in tempi recenti (Coliva 1994, Stefani 2000). Amalia Mezzetti (1977), sulla scia di quanto già ipotizzato da Turner (1965), smentì l’attribuzione al Sellari indicando la pittura garofalesca come un ambito estremamente affine al dipinto Borghese, poi sostenuta con maggiore forza da Alessandra Pattanaro (2002, 2019) fino a ricondurla alla mano dello stesso Benvenuto.
Tuttavia, non avendo termini di paragone tipologici nella produzione del Tisi per validare questa ipotesi, né tantomeno un documento probante la commissione allo stesso artista, sembra più corretto mantenere una certa prudenza nell’ascrizione diretta alla mano del Garofalo.
La particolare visione a volo d’uccello, le eccentriche forme calanchiche del paesaggio montano e la descrizione lenticolare di alcuni dettagli fanno ravvisare una rilettura padana – area di riferimento per quel che riguarda la cromia – di alcuni aspetti della pittura nordica, in particolare di Joachim Patinir (Dinat o Bouvignes, 1485 circa – Anversa, 1524) e di Henri met de Bles, noto anche come il Civetta (Dinant, 1490 circa – Ferrara, post 1566), artista che soggiornò a lungo nella città estense.
Lara Scanu