Nella collezione borghese sono citate varie statue di Fauno nell’atto di suonare, alcune poste nella Villa, altre nel Primo Recinto del Giardino ad ornamento di una fontana.
La scultura del giovane satiro che suona è probabilmente da identificarsi con quella indicata da Iacomo Manilli, nel 1650, e Domenico Montelatici, nel 1700, nella stanza detta del Sonno, attuale sala X. Dopo i lavori realizzati nel 1888 è collocata nella sala VIII.
Vi è rappresentato un giovane satiro, nudo, poggiato ad un tronco alla sua sinistra e coperto solo da una pelle di animale. È intento ad osservare un flauto che si appresta a suonare e doveva essere esposto assieme ad un’altra scultura di satiro che invece stava suonando.
L’iconografia di questo soggetto è ampiamente attestata da numerose repliche. Tra queste il Fauno Borghese conservato al Louvre sembra rappresentare il confronto più affine.
La statua è con molta probabilità copia di un originale di età ellenistica per gli evidenti influssi sia di Prassitele che di Lisippo. La tematica, già presente nell’arte in epoca precedente, ha subito un’evoluzione che ha visto progressivamente l’ingentilirsi della figura del satiro.
I restauri hanno interessato diverse parti della statua ma senza modificarne il carattere originario.
Collezione Borghese, citato da Manilli, 1650. Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 52, n. 157. Acquisto dello Stato, 1902.
Il giovane satiro è raffigurato nell’atto di suonare il flauto, come si evince dalla conformazione delle labbra. La figura, eretta, impostata con il peso sulla gamba destra, è sbilanciata sulla sinistra dalla forte inclinazione dell’anca opposta e poggia a un tronco presente alla sua sinistra. Il corpo è coperto solo in parte da una pelle ferina che, annodata sulla spalla destra, attraversa in diagonale il petto e si adagia sul tronco. Le gambe sono incrociate, la sinistra è tesa mentre la destra è flessa e accavallata sull’altra. La capigliatura è composta di folti riccioli scomposti su cui è posta una corona vegetale. Sulla fronte sono visibili due piccole corna che si confondono con i capelli.
Iacomo Manilli, nel 1650, e Domenico Montelatici nel 1700, ricordano varie sculture raffiguranti satiri nell’atto di suonare, due nella stanza detta del Sonno, attuale sala X (Manilli, 1650, p.106; Montelatici, 1700, p.295), altre due nella stanza detta delle Tre Grazie, attuale sala IX, oggi al Louvre (Manilli, 1650, p.109; Montelatici, 1700, p.301; C. Di Tomassi, M.L.Fabréga-Dubert, J.L. Martinez, 2011, pp.298-301, cat.29-30) e altre nel Primo Recinto del Giardino come ornamento di una fontana (Manilli, 1650, p.11; Montelatici, 1700, p.23).
La nostra scultura è probabilmente da identificarsi con una presente nella stanza del Sonno, sebbene sia stato anche ipotizzato che potrebbe corrispondere con una proveniente dal giardino e restaurata da Clemente Coltrice nel 1625 (Moreno, 1980, p. 17; Tomassi, 2011, p. 386). La statua è esposta a pendant con un’altra di soggetto simile (inv. CCXXVIII), dalla quale si discosta per l’espressione posata.
In seguito alla vendita napoleonica l’opera in oggetto fu posta nella sala VII (Nibby, 1841, p. 923, n. 17) e, dopo i lavori realizzati nel 1888, nella sala VIII, dove la ricorda Adolfo Venturi nella guida del 1893 (Venturi, 1893, p. 48).
La figura del satiro è presentata ingentilita, non ha più nulla delle caratteristiche caprine che lo contraddistinguono in molta iconografia antica. Anche le piccole corna sono appena accennate e coperte dalla capigliatura disordinata. L’iconografia di satiro con flauto era largamente diffusa, ben testimoniata da numerose riproduzioni anche in ambito funerario. Tra queste, il confronto più attinente si ritrova con la statua di Fauno della collezione Borghese, ora al Louvre (C. Di Tomassi, M.L. Fabréga-Dubert, J.L. Martinez, 2011, pp. 298-301, cat. 29).
Questo esemplare Borghese costituisce una replica antica che si può far derivare probabilmente da un archetipo ascrivibile all’ambito dell’epoca ellenistica: l’atteggiamento rilassato della figura e il ricorso a un pilastro d’appoggio suggerirebbe un’ispirazione prassitelica, mentre la tridimensionalità sottolineata dall’incrocio delle braccia sul busto, che esprime un superamento della ponderazione classica, lascia supporre la mano di maestranze lisippee. Plinio, parlando di un satiro di Prassitele, afferma che tra i Greci era conosciuto come periboetòs, “famoso” (Nat. Hist. XXXIV, 29). La particolare posizione delle gambe incrociate ricorda inoltre le composizioni attribuite a Scopas.
Giulia Ciccarello