Il giovane satiro si accinge a suonare una siringa che sorregge nella mano. La figura, adagiata su un tronco, è ritratta nuda, coperta sul petto dalla pelle ferina. A differenza del suo pendant, che sostiene un flauto, l’espressione è rilassata e divertita, sottolineata dalla bocca dischiusa. Nelle pubblicazioni del XVII sono menzionate nella Villa Borghese varie statue di Fauni ritratti nell’atto di suonare. Alcune erano poste nelle sale interne, altre ornavano il Giardino. Questa scultura è menzionata per la prima volta, nel 1650, da Iacomo Manilli e, nel 1700, da Domenico Montelatici nella stanza detta del Sonno, attuale sala X.
L’iconografia di tale soggetto è ampiamente attestata da numerose repliche. Tra queste il Fauno Borghese conservato al Louvre sembra rappresentare il confronto più affine.
Anche questa statua, come quella cui si contrappone, può ritenersi verosimilmente copia di un originale di età ellenistica: evidenti, infatti, risultano gli influssi, come indicato anche per quella, sia di Prassitele che di Lisippo. La figura del satiro, presente nell’arte anche in epoca precedente, ha via via perso i caratteri ferini originari per acquistare tratti quasi apollinei.
Nel XVII e nel XVIII secolo, Iacomo Manilli e Domenico Montelatici ricordano nella Villa Borghese varie statue di fauni nell’atto di suonare. Due erano disposte nella stanza detta del Sonno, attuale sala X (Manilli, 1650, p. 106; Montelatici, 1700, p. 295), altre due nella stanza detta delle Tre Grazie, attuale sala IX, oggi al Louvre (Manilli, 1650, p. 109; Montelatici, 1700, p. 301; C. Di Tomassi, M. L. Fabréga-Dubert, J.L. Martinez, 2011, pp. 298-301, cat. 29-30) e altre, infine, nel Primo Recinto del Giardino come ornamento di una fontana (Manilli, 1650, p. 11; Montelatici, 1700, p. 23).
La scultura di giovane satiro con siringa è esposta in coppia con quella del satiro che suona il flauto (inv. CCXXVI) (Manilli, 1650, p. 106). Montelatici le nomina come “Fauni giovani, con pelle in dosso di Tigre, che stando appoggiati ad un tronco d’albero, suona ciascuno di loro un flauto” (Montelatici, 1700, p. 295). I successivi trasferimenti di sala riguardano egualmente entrambe le opere. Nella risistemazione della Villa successiva alla vendita delle sculture a Napoleone Bonaparte avvenuta nel 1807, le statue furono poste nella sala VII (Nibby, 1841, p. 923, n. 18) e, in seguito ai lavori realizzati nel 1888, nella sala VIII, dove le ricorda Adolfo Venturi nella guida del 1893 (Venturi, 1893, p. 48).
Il giovane satiro è ritratto nudo, a eccezione di una pelle ferina, la pardalis, che, annodata sulla spalla destra, scende obliqua lungo il petto per andare poi a ricoprire il tronco al quale il satiro si appoggia con il gomito sinistro. La figura ha un atteggiamento rilassato, le gambe sono incrociate e il corpo si adagia sul tronco che lo sostiene anche a livello del ginocchio. Il satiro è raffigurato sorridente, sorregge nella mano destra il pedum e nella sinistra la siringa, lo strumento per tradizione originato dalla ninfa omonima, che si accinge a suonare. L’espressione gioviale e divertita lo discosta dal suo pendant e gli conferisce un aspetto puerile e vivace. Winckelmann indica tale aspetto come tipico della “natura selvatica” dei Fauni, “non attento all’eleganza della compostezza”. È accompagnato da un “dolce sorridere” con aria graziosa e fanciullesca, che l’autore definisce correggesca (Winckelmann, 1767, pp. 43-44).
La scultura si presenta priva delle connotazioni di natura caprina che caratterizzano il soggetto nell’iconografia antica, di cui permangono esclusivamente le orecchie a punta e la capigliatura scomposta.
L’iconografia del soggetto, ben testimoniata da numerose copie, era ampiamente conosciuta e riprodotta, anche in ambito funerario. Il confronto più affine si può individuare con la statua di Fauno della collezione Borghese, ora al Louvre (C. Di Tomassi, M.L. Fabréga-Dubert, J.L. Martinez, 2011, pp. 298-301, cat. 29).
Si tratta probabilmente di una riproduzione antica di un archetipo ispirato alla produzione Prassitelica o Lisippea di epoca ellenistica per la posizione rilassata e la particolare postura delle gambe incrociate.
Giulia Ciccarello