Donato nel 1611 a Scipione Borghese dal cardinale emiliano Girolamo Bernerio, il dipinto fu collocato in una delle ricche sale del casino di Porta Pinciana, dove nel 1650 fu descritto da Iacomo Manilli assieme ad altri sei opere dello stesso autore.
Il quadro, raffigurante l'Adorazione dei pastori, ricrea un'atmosfera di familiarità contadina tipica della produzione bassanesca. Costruita lungo una diagonale, le tela mostra a sinistra la Sacra famiglia con il Bambino e a destra il gruppo dei pastori con gli animali.
Salvator Rosa (cm 93 x 109,5 x 7)
Roma, cardinale Girolamo Bernerio, 1611 (Schütze 1999); Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650); Inventario 1693, Stanza II, n. 3; Inventario 1790, Stanza II, n. 23; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 32. Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è nota. Documentato per la prima volta nella raccolta del cardinale Girolamo Bernerio ('Un quadro di Nostro Signore Natività con cornice del Bassano scudi otto'; cfr. Schütze 1999), fu da questi donato nel 1611 a Scipione Borghese, passando insieme ad altri quadri dalla collezione del prelato emiliano alla ricca quadreria del cardinal nepote allestita presso il casino di Porta Pinciana. Qui l'opera fu vista nel 1650 da Iacomo Manilli ('Si vedono [...] sette quadri dei Bassani, vecchio e giovane; due de' quali, cioè la Natività e i Magi dono del Vecchio'; Manilli 1650), confermando quanto attestato da Carlo Ridolfi (Ridolfi 1648) circa la nutrita presenza di opere di Jacopo e della sua bottega nelle più importanti raccolte capitoline, sinonimo dell'interesse da sempre riscosso dalla pittura veneta nell'Urbe.
L'autografia bassanesca, ribadita in tutti gli inventari borghesiani, fu messa in dubbio sia da Giovanni Piancastelli (Id. 1891), sia da Adolfo Venturi (Id. 1893), rivista da quest'ultimo in favore di un anonimo artista della scuola bassanesca. Tale giudizio, ripreso dall'Arslan, che nella prima edizione della monografia sul pittore pensò addirittura ad una copia seicentesca (Id. 1931), fu debitamente rigettato da Aldo de Rinaldis (1948). Lo studioso, infatti, muovendosi nel solco tracciato da Roberto Longhi, secondo cui la tela Borghese rappresentava 'un'opera genuinissima di Jacopo' (1926; Id. 1928), riaffermò l'antica attribuzione al Bassano, paternità sostenuta senza alcun dubbio da Paola della Pergola (Ead. 1955) e infine accettata dall'Arslan (Id. 1960) e da tutta la critica successiva.
Secondo Pietro Zampetti (Id. 1964), il dipinto fu eseguito dall'artista veneto all'epoca della sua piena maturità, datato dal Venturi e da Longhi intorno al 1550, ossia tra il Riposo nella fuga in Egitto (Milano, Pinacoteca Ambrosiana) e il Banchetto del ricco Epulone (Cleveland Museum); ipotesi sposata anche da Alessandro Ballarin che colloca l'opera al sesto decennio del XVI secolo (Ballarin 1964; Id. 1994). In effetti, l'affinità con dipinti coevi, la sua resa quasi metallica e l'uso squillante di determinati colori - tra cui il bianco e l'azzurro - sembrano suggerirne l'esecuzione entro il primo lustro degli anni Cinquanta, datazione avanzata anche da Maria Elena Avagnina (Ead. 1992).
Il dipinto raffigura l'adorazione di Gesù da parte di alcuni pastori, informati da un angelo della nascita del divino Bambinello. Tale episodio, ripreso dal Vangelo di Luca, è qui inscenato in un contesto rustico e bucolico, caratterizzato dalla presenza di alcune figure care alla produzione dell'artista, come il pastore sdraiato in primo piano che ritorna nell'Annuncio ai pastori di Washington e nel Banchetto di Epulone di Cleveland. Il soggetto, ampiamente frequentato nella bottega bassanesca (cfr. Donati 2017), è qui reso con un eccezionale ritmo compositivo, esaltato da un uso fresco del colore 'frecciato di strali di luce' (Venturi 1929) e da eleganti suggestioni parmigianinesche, qui evidenti nella posa sinuosa e flessibile della Vergine (cfr. Avagnina 1992).
Antonio Iommelli