L’imperatore Claudio è raffigurato secondo la fisionomia nota da esemplari statuari e dalla monetazione antichi. La superficie del volto è animata, percorsa da rughe e pieghe d’espressione. Le orecchie sporgenti e la fossetta sulla fronte sono tratti inconfondibili del personaggio, il cui aspetto – soprattutto i difetti – ci sono tramandati anche dai biografi antichi, primo fra tutti Svetonio. Indossa un paludamento, sopra la lorica e la tunica, scolpiti in marmo africano.
Proveniente dalla collezione di Giovanni Battista Della Porta, è stato acquistato da Paolo V Borghese nel 1609 insieme agli altri 11 ritratti che componevano la serie dei “Dodici Cesari”; è esposto nella Villa Pinciana dal 1615. L’esecuzione dei busti è databile all’ultimo quarto del XVI secolo ed è attribuibile allo stesso Della Porta, per le analogie stilistiche con le sue opere coeve.
La testa dell’imperatore Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (41-54) ha la fronte solcata da rughe orizzontali e da una fossetta verticale sopra il naso, gli occhi – in cui sono definite iride e pupilla – sono infossati e le orecchie sporgenti. I capelli si dispongono voluminosi sul capo, terminando con ciocche a virgola sulla fronte, dove è appena accennato il motivo della “tenaglia” centrale. La superficie delle guance è mossa da pieghe che partono dalla radice del naso, e dai solchi naso-labiali. La bocca, dal prolabio accentuato, è serrata dalla muscolatura contratta. Il ritratto presenta i tratti caratteristici della fisionomia dell'imperatore testimoniati dalla ritrattistica antica.
Il busto in marmo africano riproduce il paludamentum, risvoltato sulla spalla sinistra e fissato sulla destra con una fibula circolare, sotto il quale Claudio indossa la lorica (corazza corta), appena visibile, e la tunica con le maniche corte. Le pieghe del mantello, lineari e appiattite, ricorrono con lo stesso disegno in più esemplari della serie.
Il ritratto fa parte, insieme ad altri undici, della serie denominata dei "Dodici Cesari", comprendente i personaggi narrati da Svetonio e appartenente alla collezione di sculture di Giovan Battista della Porta, che l'artista lasciò in eredità ai fratelli Tommaso e Giovan Paolo. Quest'ultimo, nell’ottobre del 1609, li vendette – insieme all’intera raccolta – a Paolo V che li acquistò per conto di Giovanni Battista Borghese. I busti vennero trasferiti prima nel Palazzo Borghese (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 7923, f. 121v-122r, in Faldi 1954, p. 51, doc II) e, dal 1615, posti nel salone d'ingresso della Villa Pinciana sopra sgabelloni di noce intagliati da Giovanni Battista Soria (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 4173, 12 agosto 1615, Conto di lavori di legname fatti da G.B. Soria per la villa di Porta Pinciana, in Faldi 1954, p. 51, doc. III).
Faldi scrive che alla serie erano uniti altri due busti, di Scipione Africano e Annibale Cartaginese, non compresi nella raccolta iniziale e dispersi dopo il riordino della collezione avvenuto nell’ultimo quarto del Settecento, quando i 12 busti furono spostati all’interno di nicchie nelle pareti dello stesso salone di ingresso (1954, p. 50).
Confusi dal Baglione (Le vite, 1642, p. 74) con la serie venduta nel 1562 da Tommaso della Porta il Vecchio al Cardinale Alessandro Farnese (conservata nella Galleria di Palazzo Farnese a Roma), sono stati ritenuti dal Faldi opera autografa di Giovan Battista, non solo sulla scorta delle notizie documentali, ma anche per il confronto con opere certe dell'artista, la cui fredda e archeologizzante maniera risulta qui applicata a una generica imitazione di modelli antichi (Faldi 1954, p. 50).
Le teste presentano tra di loro difformità stilistiche: per alcune di esse, che hanno gli occhi dotati di iride e di pupilla incisa ad archetto e la superficie del volto ben levigata e compatta, l’autografia appare coerente con il resto della produzione di Giovanni Battista Della Porta, mentre in un altro gruppo, composto da ritratti dagli occhi grandi e privi di iride e pupilla, differenti tra loro per la resa della capigliatura, l’intervento dello scultore lombardo potrebbe consistere più probabilmente in una rilavorazione e un adattamento di parti di riuso. La ripetizione di tratti fisiognomici e dei busti panneggiati in diversi esemplari della serie descrive, inoltre, una modalità esecutiva seriale all’interno della bottega Della Porta.
Sonja Felici