La scultura ritrae l’imperatore Claudio divinizzato nelle sembianze di Giove. La testa, ritraente Tiberio, e l’aquila posta alla sua destra sono di restauro. Lo schema ritrattistico impiegato sembra riferibile ai primi anni di regno, nella prima metà del I secolo d.C.
Rinvenuta nella tenuta Borghese di Vigna Lucidi, tra Monte Porzio e Frascati nel 1820 e restaurata dallo scultore Massimiliano Laboureur, la statua si ritrova esposta nel 1832 nel Salone.
Proveniente dagli scavi nella Vigna Lucidi del 1820, condotti su iniziativa di Camillo Borghese (Moreno, Sforzini 1987, pp. 348-350). Nella Collezione Borghese è ricordata all’interno della Palazzina nel 1832 nel Salone (Nibby, p. 43). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 42, n. 15. Acquisto dello Stato, 1902.
La scultura proviene dagli scavi intrapresi per volontà del Principe Camillo Borghese, nel 1820, in una vigna di proprietà della famiglia in località Santa Croce, tra Monte Porzio e Frascati, concessa in enfiteusi a Cesare Lucidi: “una statua creduta d’un Domiziano, mancante però di testa, parte delle braccia, e parte dei piedi, e della base” (Valenti 2003, p. 188, nota 14; Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, B. 8096, p. 43, n. 195: Moreno, Sforzini 1987, pp. 348-350). Ad agosto dello stesso anno la scultura è affidata a Massimiliano Laboureur per gli interventi di restauro: “una figura di marmo greco antico più grande del vero, che dagl’attributi della med(esim)a si crede un Domiziano, mancante nelle braccia, e nei piedi, senza testa, e varie piegature, e sua base”. Nel documento di incarico è specificato che le parti aggiunte dovranno essere effettuate in marmo antico. Ad agosto del 1822 un pagamento isolato testimonia l’aggiunta dell’aquila: “Al Sig(no)r Cav(alie)re Fran(ces)co Massimiliano Laboureur Scultore s(cudi) 10 quali sono p(er) un’Aquila di Marmo posta alla Statua […] rappresentante un Domiziano” (Archivio Apostolico Vaticano, Archivio Borghese, B. 8096, p. 219, n. 225). All’interno della Palazzina Borghese il Nibby ci testimonia che la scultura è posizionata nel salone, sua attuale collocazione. La interpreta, per l’abbigliamento e la presenza dell’aquila, come una statua di Giove, alla quale è stata applicata una testa di Tiberio. Ritiene “debba assegnarsi alla epoca degli Antonini” (p. 43). Il Bernoulli la definisce semplicemente statua eroica ma avanza dei dubbi sull’antichità della testa (1886, p. 148, n. 14). Anche il Venturi afferma: “È probabile che rappresenti un imperatore, ma la mancanza del capo non lascia stabilir quale” (1893 p. 14). Il Lippold nel 1925 compie un attento esame della scultura: considera aggiunti la testa, il braccio destro dalla base in su, l’avambraccio sinistro, la parte anteriore del piede destro e una parte della caviglia, il polpaccio sinistro e il pezzo del mantello dietro di esso, l’aquila, ritenendo antiche le estremità delle tenie sulle spalle. Propone come confronto la statua di Marcello conservata a Napoli (1925, p. 3, n. 2713). La Calza pensa si tratti “di imperatore divinizzato del tipo di Olympia”, probabilmente Claudio, con testa moderna (1957, p. 14, n. 122). Il Moreno nel 1976 riconosce come moderna la testa “imposta ad una statua di imperatore come Giove, che era invece con ogni probabilità Claudio”, che ritiene una elegante copia del tipo giovanile di Tiberio. In base a tale osservazione, l’autore intravede affinità con un ritratto dell’imperatore, ritrovato a Gabi nel 1792 e trasferito al Louvre nel 1807 e ipotizza erroneamente che la realizzazione moderna Borghese sia stata eseguita su tale originale prima del suo spostamento (1975-1976, p. 139). L’ipotesi non è cronologicamente plausibile essendo stata la statua rinvenuta nel 1820, come rilevato successivamente (a partire da Moreno, Sforzini 1987, pp. 347-348, 350). Tuttavia, l’evidente somiglianza tra i due ritratti induce a supporre che la scultura gabina possa aver rappresentato un modello per la replica Borghese, nota attraverso la riproduzione di Visconti (1797, n. 39) e forse - non da escludersi - attraverso un calco tratto prima della partenza dell’originale per Parigi.
Il Bieber nota che “i Romani utilizzavano le figure greche di Zeus o Giove soltanto per rappresentare imperatori e principi”. Come una peculiarità romana veniva aggiunto il mantello per accrescerne l’aspetto divino. E individua, oltre alla replica Borghese, che giudica “misera”, altre due statue di Claudio, quella da Olimpia e un’altra, ora conservata in Vaticano, proveniente da Civita Lavinia, “di gran lunga la migliore”. Tutt’e tre indossano il mantello arrotondato drappeggiato in modo efficace e decorativo (1977, p. 42, fig. 93). Il Linfert lo confronta con un Giove di Villa Albani (1982, p. 437 n. 2). Il Fittschen, invece, propone un confronto con la testa capitolina (1985, p. 32, n. 26, nota 1).
La figura è rappresentata stante, caratterizzata da un lieve dinamismo, sottolineato dalla posizione delle gambe leggermente divaricate. Il peso sembra essere sostenuto dalla gamba destra mentre la sinistra appare leggermente arretrata. Il corpo, dalle forme asciutte e snelle, è nudo a eccezione di un panneggio che lo ricopre nella parte inferiore. L’himation, trattenuto sui fianchi in un ampio umbo, un fascio di pieghe orizzontali, si adagia sul braccio sinistro flesso in avanti. Nella mano sinistra sostiene un gladium rivolto verso sé stesso. Il braccio destro è steso in avanti. A destra dell’imperatore è un’aquila, dalle ali spiegate e il capo a lui rivolto.
L’imperatore è ritratto nell’apoteosi divina, nelle sembianze di Giove, trova forti affinità con una statua analoga, conservata nella Sala rotonda del Museo Pio Clementino ai Musei Vaticani, relativa al terzo tipo ritrattistico ufficiale e databile agli anni di poco successivi del regno (37-54 d.C.), periodo al quale si può far risalire anche l’esemplare Borghese (Inv. 243: Lippold 1939, p. 137, n. 550, tav. 40-42).
Giulia Ciccarello