Ritratto di Claudio
Viso percorso da profonde rughe, orecchie sporgenti, sono solo alcuni dei difetti, fisici e non solo, che le fonti antiche tramandano dell’imperatore Claudio. Egli è qui ritratto, con un sostanziale rispetto delle caratteristiche fisiognomiche note, da uno scultore il cui nome è al momento ignoto. Il busto in porfido e alabastro fa parte di una serie di 16 che, dopo aver decorato a partire dal 1674-76 la galleria degli specchi del Palazzo Borghese in Campo Marzio, sono esposti dal 1832 nella sala IV della Villa Pinciana, dove, secondo il gusto del tempo, furono raccolte le opere policrome della collezione. La critica è piuttosto concorde a datarne l’esecuzione al secolo XVII.
Scheda tecnica
Inventario
Posizione
Datazione
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
porfido e alabastro orientale
Misure
Provenienza
Inserito tra il 1674 e il 1676 nella decorazione della Galleria del Palazzo Borghese in Campo Marzio (H. Hibbard, Palazzo Borghese Studies. II, the Galleria, in “The Burlington magazine”, 104,1962, pp. 9-20). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 49, n. 111. Acquisto dello Stato, 1902.
Conservazione e Diagnostica
- 1995/1996 C.B.C. Coop. a.r.l.
Scheda
Il busto ritrae l’imperatore Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (41-54) con un sostanziale rispetto delle descrizioni lasciateci dall’antichità, che ne evidenziavano i numerosi difetti fisici. Claudio è qui ritratto in età matura – salì al trono a 51 anni –, con profonde rughe che ne solcano la fronte e che scendono ai lati del naso e della bocca, borse sotto gli occhi e una vistosa fossetta sopra il naso. La capigliatura, pur ripartita al centro nel tipico motivo “a tenaglia”, è poco definita e trasmette, soprattutto nella parte sommitale e posteriore del capo, l’effetto di una calotta, davanti alla quale risaltano le orecchie sporgenti. Tutti i tratti sopra citati sono presenti nei ritratti antichi dell’imperatore giunti fino a noi.
Il busto in alabastro riproduce un ampio paludamento appuntato sulla spalla destra con una fibula circolare, sotto il quale sono appena visibili la lorica (corazza corta) e la tunica. Sull’orlo destro del busto è presente un secondo numero di inventario (704).
L’opera fa parte di una serie di sedici busti in porfido e alabastro provenienti dal Palazzo Borghese in Campo Marzio: riproducenti i Dodici Cesari narrati da Svetonio con l’aggiunta di Nerva e Traiano, di un secondo Vitellio e di un altro Tito, erano collocati all’interno delle nicchie della galleria e circondati da una decorazione con rilievi in stucco raffiguranti episodi salienti della vita di ciascuno e personificazioni delle rispettive virtù, eseguita da Cosimo Fancelli tra il 1674 e il 1676 (Hibbard 1962). In tale collocazione la serie è documentata fino al 1830 (Nibby, p. 360), per poi figurare tra le opere esposte nella sala IV della Villa Pinciana nel 1832 (Nibby 1832, p. 96), con una diversa composizione e l’aggiunta di un altro Vespasiano, eseguito da Tommaso Fedeli nel 1619, proveniente dalla sala del Gladiatore.
Stando ai documenti conservati nell’Archivio Borghese la serie era composta, come detto, dai “Dodici Cesari” con l’aggiunta di Nerva e Traiano, di un secondo Vitellio e di un altro Tito (ASV, AB, b. 5688, n. 15, pubblicati in Hibbard 1962, appendice, doc. I, pp. 19-20). Nel 1830 Nibby li identifica – ancora in Campo Marzio – come “16 busti con teste di porfido, rappresentanti i 12 Cesari e 4 consoli”, e due anni dopo quando ormai sono esposti lungo le pareti della sala IV, li elenca come Traiano, Galba, Claudio, Otone, Vespasiano (2 esemplari), Scipione Africano, Agrippa, Augusto, Vitellio (2 esemplari), Tito, Nerone, Cicerone, Domiziano, Vespasiano, Caligola e Tiberio. Se l’ultima citazione – comprendente anche il secondo Vespasiano di Tommaso Fedeli – è quella che corrisponde allo stato attuale della serie (e trova conferma nell’Inventario Fidecommissario del 1833), resta difficile comprendere che fine abbiano fatto i ritratti di Cesare, Tito e Nerva, presenti nel 1674-76 e non più rintracciabili nella serie attuale, chi fosse il quarto console indicato da Nibby nel 1830, dal momento che oggi ve ne sono solo tre (Agrippa, Cicerone e Scipione Africano) e quale sia la provenienza di questi ultimi. Appare quindi ipotizzabile che i busti utilizzati nella galleria – già presenti nel Palazzo Borghese – non corrispondessero ai personaggi previsti nel programma iconografico della volta e che questa difformità abbia in seguito complicato l’identificazione dei ritratti. A sostegno di questa ipotesi è anche la datazione dell’insieme, che la critica è concorde nel ritenere eseguito contemporaneamente nel XVII secolo (Faldi 1954, pp. 16-17; Della Pergola, 1974; Moreno, C. Stefani,2000, p. 129; Del Bufalo 2018, p. 116).
Sonja Felici
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