Il busto riproduce in maniera convenzionale le fattezze attribuite all’imperatore Galba (68-69), delle quali rimane scarsa documentazione antica. La fronte e le guance sono solcate da profonde rughe, la capigliatura è compatta, naso, bocca e mento sono simili a quelle riprodotte in altri ritratti della serie. Lo stesso può dirsi del busto, raccolto in un paludamento le cui pieghe, lineari e appiattite, sono ricorrenti in quelli di altri imperatori.
La serie dei Dodici Cesari fu acquistata nel 1609 da Paolo V Borghese come parte della collezione dello scultore Giovanni Battista della Porta, al quale viene attribuita per caratteristiche stilistiche. Esposti dal 1615 nella Villa Pinciana, i busti sono stati inseriti a fine Settecento in nicchie ovali ricavate nel salone d’ingresso in occasione della ristrutturazione curata dall’architetto Antonio Asprucci.
La fisionomia dell’imperatore Servio Sulpicio Galba – che regnò sei mesi tra il giugno 68 e il gennaio 69 – è testimoniata esclusivamente dalle effigi monetali (Felletti Maj 1960, pp. 757-758) e dalle descrizioni presenti nelle fonti letterarie, prima fra tutte quella di Svetonio, che lo voleva calvo, col naso aquilino e gli occhi cerulei (Vit., VII, 21). Il volto è qui caratterizzato da una fronte abbastanza ampia, attraversata nella parte bassa da un’evidente ruga orizzontale, e da pieghe che, originandosi alla radice e ai lati del naso, attraversano le guance. Gli occhi presentano l’iride incisa e la pupilla definita da un contorno ad arco eseguito col trapano. Al di sotto del mento è una profonda fossetta circolare ai lati della quale la pelle del collo forma pieghe parallele orientate verso l’esterno. La capigliatura è compatta e termina con ciocche perfettamente allineate sulla fronte. Naso, bocca e mento poco contribuiscono a definire il volto del soggetto, perché riprodotte piuttosto uniformemente in altri ritratti della serie. Il busto, in marmo africano, raffigura un paludamento steso a coprire la spalla sinistra e fermato sulla destra da una fibula circolare umbonata al di sotto del quale si intravede la scollatura della tunica sottostante. Anche le pieghe del mantello, lineari e appiattite, ricorrono con lo stesso disegno in più esemplari.
Il ritratto fa parte, insieme ad altri undici esemplari, della serie denominata dei "Dodici Cesari", comprendente i personaggi narrati da Svetonio e appartenente alla collezione di sculture di Giovan Battista della Porta, che l'artista lasciò in eredità ai fratelli Tommaso e Giovan Paolo. Quest'ultimo, nell’ottobre del 1609, li vendette – insieme all’intera raccolta – a Paolo V che li acquistò per conto di Giovanni Battista Borghese. I busti vennero trasferiti prima nel Palazzo Borghese (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 7923, f. 121v-122r, in Faldi 1954, p. 51, doc II) e, dal 1615, posti nel salone d'ingresso della Villa Pinciana sopra sgabelloni di noce intagliati da Giovanni Battista Soria (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 4173, 12 agosto 1615, Conto di lavori di legname fatti da G.B. Soria per la villa di Porta Pinciana, in Faldi 1954, p. 51, doc. III).
Faldi scrive che alla serie erano uniti altri due busti, di Scipione Africano e Annibale Cartaginese, non compresi nella raccolta iniziale e dispersi dopo il riordino della collezione avvenuto nell’ultimo quarto del Settecento, quando i 12 busti furono spostati all’interno di nicchie nelle pareti dello stesso salone di ingresso (1954, p. 50).
Confusi dal Baglione (Le vite, 1642, p. 74) con la serie venduta nel 1562 da Tommaso della Porta il Vecchio al Cardinale Alessandro Farnese (conservata nella Galleria di Palazzo Farnese a Roma), sono stati ritenuti dal Faldi opera autografa di Giovanni Battista, non solo sulla scorta delle notizie documentali, ma anche per il confronto con opere certe dell'artista, la cui fredda e archeologizzante maniera risulta qui applicata a una generica imitazione di modelli antichi (Faldi 1954, p. 50).
Le teste presentano difformità stilistiche: per alcuni di esse, che hanno gli occhi dotati di iride e di pupilla incisa ad archetto e la superficie del volto ben levigata e compatta, l’autografia appare coerente con il resto della produzione di Giovanni Battista Della Porta, mentre in un altro gruppo, composto da ritratti dagli occhi grandi e privi di iride e pupilla e differenti tra loro per la resa della capigliatura, l’intervento dello scultore lombardo potrebbe consistere più probabilmente in una rilavorazione e un adattamento di parti di riuso. La ripetizione di tratti fisiognomici e dei busti panneggiati in diversi esemplari della serie descrive, inoltre, una modalità esecutiva seriale all’interno della bottega Della Porta.
Sonja Felici