Raffigurazione solenne e ieratica di Giunone, dea del matrimonio e del parto, nonché protettrice dello Stato e come tale associata a Giove e Minerva nella Triade Capitolina. La testa, eseguita in marmo rosso antico, è coronata di un diadema e ha un’acconciatura con un nodo posteriore e due ciocche di capelli che scendono sul davanti. Il busto, in alabastro orientale, riproduce l’himation, mantello avvolto intorno alla spalla sinistra, il peplo sostenuto da due fibule e la manica chiusa da tre bottoni di una veste sottostante. Appartenuta alla collezione di Fulvio Orsini e poi alla famiglia Lante, la Giunone risulta acquistata da Camillo Borghese nel 1828 e posta nella sala IV a “completamento” della serie di busti in porfido e alabastro di imperatori e consoli, probabilmente in virtù della consonanza cromatica. La scultura è stata considerata da una parte della critica come la composizione di una testa antica con un busto moderno e da altri del tutto moderna.
La dea è raffigurata frontalmente, con lo sguardo rivolto davanti a sé, ha i lineamenti del volto idealizzati e un atteggiamento solenne e dignitoso. I capelli, coronati da un diadema, sono ripartiti al centro della fronte e poi raccolti sulla nuca in un nodo dal quale si dipartono due ciocche che scendono ai lati del collo verso il petto. Indossa un himation che le copre la spalla sinistra, sotto il quale è visibile il peplo sostenuto sulle spalle da due fibule e, a destra, una veste sottostante con la manica chiusa da tre bottoni.
Il volto riproduce le fattezze della cosiddetta Era Ludovisi, una testa colossale rinvenuta a Roma nella prima metà del Cinquecento e considerata come un frammento di una statua di culto della dea (Faldi 1954, p. 18).
L’opera figura nell’inventario post mortem delle sculture appartenute a Flavio Orsini, duca di Bracciano, compilato da Pietro Papaleo nel 1698 (“Una testa più del naturale con poco petto rappresentante Giunona con tiara in capo alta p.mi 2 di pietra rossa s. 50”, in Rubsamen 1980, p. 47). Successivamente la ritroviamo documentata nel 1794 nella stima dei beni della famiglia Lante redatta da Vincenzo Pacetti (“al naturale con testa di rosso antico e busto impellicciato”, Archivio di Stato di Roma, Archivio Lante, b. 663, 1794, in Randolfi 2010, appendice documentaria, p. 291) e nel 1828, tra i beni di famiglia che Giulio Lante mise all’asta per estinguere i debiti contratti con diversi creditori (“Una testa di marmo rappresentante una Giunone esistente nel di lui Palazzo”, Archivio di Stato di Roma, Archivio Lante, b. 148, in Randolfi 2010, appendice documentaria, p. 321). Il busto risulta acquistato dai Borghese per 70 scudi, prezzo fissato un anno prima da una perizia di Filippo Albacini (Archivio di Stato di Roma, Archivio Lante, b. 663 in Randolfi 2009, pp. 559-560) e affidato subito dopo ad Antonio d’Este perché lo restauri (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, b. 348, n. 57, in Moreno, Sforzini 1994, p. 360).
Esposta nella Villa Pinciana sicuramente nel 1832, quando ne viene annotata la presenza dal Nibby (p. 96), la Giunone fu aggiunta alla serie composta dai Dodici Cesari (Vitellio e Vespasiano in duplice copia), Agrippa, Scipione l'Africano e Cicerone, già presente nella galleria, condividendone misure e bicromatismo, secondo una disposizione ideata da Giuseppe Gozzani, amministratore del patrimonio di Camillo Borghese, che aveva pensato di raccogliere in un unico ambiente le sculture policrome rimaste nella collezione di famiglia (Moreno, Sforzini 1987, pp. 370-371).
Nibby la ritenne una testa antica riadattata su busto moderno (1832, p. 96); l’esecuzione fu successivamente datata alla fine del Cinquecento da De Rinaldis (1935, p. 13) e al XVII da Della Pergola (1974, p. 15). Faldi, invece, la considerava un’opera tardo settecentesca (1954, p. 18) come Herrmann Fiore (1998, p. 39). In anni recenti è stata avanzata l’ipotesi che si tratti di una testa antica integrata da Gaspare Sibilla, che, nel 1763, risulta attivo per il cardinale Federico Marcello Lante nel restauro delle sculture conservate nel cortile e lungo lo scalone del palazzo di famiglia in piazza dei Caprettari, dove la testa risultava esposta nel 1811 (Randolfi 2010, p. 308).
Sonja Felici