L’imperatore Nerone è raffigurato con un volto giovanile, una folta capigliatura che ne copre la fronte, occhi senza pupille e con arcate sopracciliari lineari. Naso e bocca sono regolari e il mento è sporgente. L’identificazione del personaggio ritratto passa principalmente attraverso la particolare barba che si distende sotto la mandibola, testimoniata nei ritratti antichi. Il busto riproduce una lorica decorata al centro del petto con una testa di Medusa. Il ritratto fa parte di una serie di dodici, provenienti dalla collezione Della Porta, acquistata nel 1609 dal pontefice Paolo V. Collocati dapprima nel palazzo di Campo Marzio, i busti sono esposti dal 1615 nella Villa Pinciana e dalla fine del Settecento sistemati all’interno di nicchie ovali ricavate nelle pareti del salone d’ingresso.
L’imperatore Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico regnò dal 54 al 68, in età giovanile. In questo ritratto il volto è incorniciato da una capigliatura a ciocche sovrapposte, distese sulla fronte con un orientamento uniforme e sottolineate da un leggero sottosquadro, e dalla barba che si dispone sotto la mandibola secondo l’iconografia nota del personaggio. Essa in origine aveva probabilmente la funzione di mascherare il collo pingue dell’imperatore, che qui si presenta invece asciutto. Gli occhi piccoli e senza pupilla sono sottolineati da sopracciglia lineari; il naso e la bocca, separati da baffi leggeri, sono regolari e non individuati, il mento è sporgente.
Il busto, in marmo bigio morato, riproduce una lorica anatomica con una testa di Medusa – il Gorgoneion – intagliata al centro del petto; appuntato sulla spalla sinistra con una fibula circolare umbonata, è un paludamentum raccolto in pieghe.
Il ritratto fa parte, insieme ad altri undici esemplari, della serie denominata dei "Dodici Cesari", comprendente i personaggi narrati da Svetonio e appartenente alla collezione di sculture di Giovan Battista della Porta, che l'artista lasciò in eredità ai fratelli Tommaso e Giovan Paolo. Quest'ultimo, nell’ottobre del 1609, li vendette – insieme all’intera raccolta – a Paolo V che li acquistò per conto di Giovanni Battista Borghese. I busti vennero trasferiti prima nel Palazzo Borghese (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 7923, f. 121v-122r, in Faldi 1954, p. 51, doc II) e, dal 1615, posti nel salone d'ingresso della Villa Pinciana sopra sgabelloni di noce intagliati da Giovanni Battista Soria (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, 4173, 12 agosto 1615, Conto di lavori di legname fatti da G.B. Soria per la villa di Porta Pinciana, in Faldi 1954, p. 51, doc. III).
Faldi scrive che alla serie erano uniti altri due busti, di Scipione Africano e Annibale Cartaginese, non compresi nella raccolta iniziale e dispersi dopo il riordino della collezione avvenuto nell’ultimo quarto del Settecento, quando i 12 busti furono spostati all’interno di nicchie nelle pareti dello stesso salone di ingresso (1954, p. 50).
Confusi dal Baglione (Le vite, 1642, p. 74) con la serie venduta nel 1562 da Tommaso della Porta il Vecchio al Cardinale Alessandro Farnese (conservata nella Galleria di Palazzo Farnese a Roma), sono stati ritenuti dal Faldi opera autografa di Giovanni Battista, non solo sulla scorta delle notizie documentali, ma anche per il confronto con opere certe dell'artista, la cui fredda e archeologizzante maniera risulta qui applicata a una generica imitazione di modelli antichi (Faldi 1954, p. 50).
Le teste presentano tra loro difformità stilistiche: per alcune di esse, che hanno gli occhi dotati di iride e di pupilla incisa ad archetto e la superficie del volto ben levigata e compatta, l’autografia appare coerente con il resto della produzione di Giovanni Battista Della Porta, mentre in un altro gruppo, composto da ritratti dagli occhi grandi e privi di iride e pupilla e differenti tra loro per la resa della capigliatura, l’intervento dello scultore lombardo potrebbe consistere più probabilmente in una rilavorazione e un adattamento di parti di riuso. In questo caso il ritratto presenta la barba sul collo – tipica dell’iconografia dell’imperatore – e i baffi – abbastanza inusuali nei ritratti antichi – resi per sottili incisioni poco profonde, che lasciano supporre una rilavorazione del volto.
Sonja Felici