Una folta e poco definita capigliatura e una barba acconciata a formare righe orizzontali di riccioli sulle guance, incorniciano il volto, dall’ovale pieno, dell’imperatore Nerone. Il ritratto è completato da occhi piccoli, con sopracciglia sollevate verso l’esterno, a conferire al suo sguardo una venatura di crudeltà, evidentemente considerato un attributo fondamentale dell’imperatore. Il busto è avvolto nel paludamento, secondo la consuetudine di questo genere di ritratti.
Proveniente dal palazzo di Campo Marzio insieme con altri quindici con cui componeva una serie collocata nella Galleria degli specchi, dal 1832 risulta esposto nella sala IV della Villa Pinciana.
L’opera ritrae Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, quinto imperatore romano, l'ultimo appartenente alla dinastia giulio-claudia, che regnò dal 54 al 68. Il ritratto è dominato dalla presenza di una folta e compatta capigliatura che si dispone a ciocche ondulate parallele che terminano sulla fronte, coprendone un’ampia porzione, e si estende sulla nuca. Gli occhi sono piccoli e hanno l’orlo delle palpebre ben delineato; il naso è dritto e termina appuntito, le pieghe naso-labiali sono ben evidenziate. La bocca, con gli angoli rivolti verso il basso, ha il labbro superiore coperto da leggeri baffi. La barba copre un’ampia porzione delle guance e il collo al di sotto del mento, acconciata in righe grossomodo orizzontali.
Il busto è avvolto in un ampio paludamento appuntato sulla spalla destra con una fibula circolare, dal quale, all’altezza del collo, si intravede l’orlo della tunica sottostante.
L’opera fa parte di una serie di sedici busti in porfido e alabastro provenienti dal Palazzo Borghese in Campo Marzio: riproducenti i Dodici Cesari narrati da Svetonio con l’aggiunta di Nerva e Traiano, di un secondo Vitellio e di un altro Tito, erano collocati all’interno delle nicchie della galleria e circondati da una decorazione con rilievi in stucco raffiguranti episodi salienti della vita di ciascuno e personificazioni delle rispettive virtù, eseguita da Cosimo Fancelli tra il 1674 e il 1676 (Hibbard 1962). In tale collocazione la serie è documentata fino al 1830 (Nibby, p. 360), per poi figurare tra le opere esposte nella sala IV della Villa Pinciana nel 1832 (Nibby 1832, p. 96), con una diversa composizione e l’aggiunta di un altro Vespasiano, eseguito da Tommaso Fedeli nel 1619, proveniente dalla sala del Gladiatore.
Stando ai documenti conservati nell’Archivio Borghese la serie era composta, come detto, dai “Dodici Cesari” con l’aggiunta di Nerva e Traiano, di un secondo Vitellio e di un altro Tito (ASV, AB, b. 5688, n. 15, pubblicati in Hibbard 1962, appendice, doc. I, pp. 19-20). Nel 1830 Nibby li identifica – ancora in Campo Marzio – come “16 busti con teste di porfido, rappresentanti i 12 Cesari e 4 consoli”, e due anni dopo quando ormai sono esposti lungo le pareti della sala IV, li elenca come Traiano, Galba, Claudio, Otone, Vespasiano (2 esemplari), Scipione Africano, Agrippa, Augusto, Vitellio (2 esemplari), Tito, Nerone, Cicerone, Domiziano, Vespasiano, Caligola e Tiberio. Se l’ultima citazione – comprendente anche il secondo Vespasiano di Tommaso Fedeli – è quella che corrisponde allo stato attuale della serie (e trova conferma nell’Inventario Fidecommissario del 1833), resta difficile comprendere che fine abbiano fatto i ritratti di Cesare, Tito e Nerva, presenti nel 1674-76 e non più rintracciabili nella serie attuale, chi fosse il quarto console indicato da Nibby nel 1830, dal momento che oggi ve ne sono solo tre (Agrippa, Cicerone e Scipione Africano) e quale sia la provenienza di questi ultimi. Appare quindi ipotizzabile che i busti utilizzati nella galleria – già presenti nel Palazzo Borghese – non corrispondessero ai personaggi previsti nel programma iconografico della volta e che questa difformità abbia in seguito complicato l’identificazione dei ritratti. A sostegno di questa ipotesi è anche la datazione dell’insieme, che la critica è concorde nel ritenere eseguito contemporaneamente nel XVII secolo (Faldi 1954, pp. 16-17; Della Pergola, 1974; Moreno, C. Stefani,2000, p. 129; Del Bufalo 2018, p. 116).
Sonja Felici