Eseguita nella tecnica dell’incastro, consistente nel montare insieme parti di marmi diversi – con un uso frequente di pezzi antichi, che non si può o escludere anche in questo caso –, la scultura trae dall’elegante policromia e dalla raffinatezza compositiva il suo indiscutibile fascino. Il sapiente utilizzo degli inserti policromi ne colloca la datazione tra fine Cinquecento e inizio Seicento, quando il gusto per opere scultoree policrome – tanto apprezzate anche da Scipione Borghese – raggiunse il suo apice.
Acquistata dal cardinale già nel 1607, la Mora proviene dalla collezione di Lelio Ceoli. I documenti non forniscono nessuna certezza riguardo il nome dell’autore, per il quale la critica ha prevalentemente sostenuto un’identificazione con Nicolas Cordier, considerato autore anche della Zingarella conservata nella sala X.
La Mora fu tra le prime opere entrate nella collezione nel 1607 – quando ancora la palazzina non esisteva –, con l’acquisto della raccolta di statue antiche di Lelio Ceoli da parte di Scipione Borghese (Archivio segreto Vaticano, Archivio Borghese, 348, busta III, n. 32, in De Lachenal 1982, p. 86).
La scultura raffigura una giovane donna mora, con i capelli raccolti in trecce arrotolate sul sommo della testa e con riccioli ben definiti che scendono sulla fronte; indossa una veste bianca, stretta in vita da una cintura policroma, con le maniche arrotolate sugli avambracci. La donna è accovacciata e tiene sulle ginocchia un cagnolino bianco, il suo sguardo è rivolto ad un bambino avvolto in un panneggio anch’esso bianco, che si appoggia alla sua gamba sinistra e a cui accarezza teneramente i capelli. I gesti e gli sguardi descrivono una situazione di intimità e tenerezza, e creano nel loro incrociarsi una composizione raffinata, arricchita dall’eleganza degli accostamenti cromatici.
La tecnica usata per l’esecuzione dell’opera è quella dell’incastro, che prevedeva l’utilizzo di marmi di diverso colore tenuti insieme grazie a perni e grappe. La ripresa di questa tecnica, la cui origine antica è testimoniata da numerose sculture romane, caratterizza il gusto diffuso tra fine Cinquecento e inizio Seicento – epoca alla quale è da ricondurre l’esecuzione della Mora –, e ben si sposava col gusto per la policromia che ha, sin dagli esordi, caratterizzato la scelta dei materiali e la sistemazione della raccolta di Scipione Borghese.
Non è da escludere o che i materiali utilizzati – marmo statuario e nero antico o bigio morato – possano essere pezzi antichi rilavorati. Risulta mancante il piedistallo "di gialdo" su cui la scultura era posta nel 1607.
Complessa e non ancora risolta la vicenda attributiva dell’opera, riferita ad Alessandro Algardi dal Nibby (1832, p. 85), è stata dal De Rinaldis (Catalogo, 1948, p. 85) attribuita per la prima volta a Nicolas Cordier, restauratore di opere antiche e autore della Zingarella (inv. CCLXIII), anch’essa eseguita con materiali diversi, conservata nella sala X. Un’attribuzione, quest’ultima, che ha registrato consensi tra gli studiosi successivi. È stata proposta anche la bottega di Giovanni Battista della Porta (Pressouyre 1984, pp. 463-464), molto attiva nel commercio e nella lavorazione di marmi antichi colorati, per il forte contrasto cromatico e la stilizzazione del drappeggio che caratterizzano la Mora ma, ancora recentemente, Ioele è tornata ad attribuirla a Cordier (Marmi colorati, 2016, pp. 96-97).
Il Manilli (1650, p. 108) la ricorda nella sala IX, prima del 1716 fu spostata nella sala XIX (Brigenti 1716, p. 80). Durante i lavori di ridecorazione del primo piano della villa, la scultura fu posta nella sala VI, dove risulta collocata sopra uno sgabellone di legno ormai perduto (Lamberti, Visconti 1796, II, p. 55). Nel 1832 Nibby la vede in sala III (1832, p. 85) e nel 1841 in sala X (1841, p. 932); posta tra fine sec. XIX e prima metà del XX secolo nella sala XIV (Barbier de Montault 1870, p. 499; De Rinaldis 1935, p. 8), oggi è esposta nella sala X.
Sonja Felici