Il dipinto, proveniente dalla raccolta del principe Chigi, venne acquistato dallo Stato italiano nel 1919 e destinato alla Galleria Borghese. L’identità dell’effigiato, tuttora non confermata da alcun dato certo, potrebbe corrispondere a uno dei fratelli minori di Gian Lorenzo Bernini, di cui la Galleria conserva anche due Autoritratti, rispettivamente in età giovanile e matura. Il volto del fanciullo, reso con rapidi e pastosi colpi di pennello, è caratterizzato da una straordinaria naturalezza e mostra un’espressione intensa di immediato coinvolgimento per lo spettatore.
‘600 (nera con profili a onde, listello interno dorato a loto); cm 71,3 x 65 x 8
Acquisto dello Stato presso la collezione Chigi, 1919
Il dipinto è attestato tra le acquisizioni dello Stato di inizio Novecento come “Ritratto di giovanetto” di “Ignoto sec. XVII”. L’opera venne comprata nel 1919 dal principe Chigi e, grazie all’interessamento di Corrado Ricci, fu destinata alla Galleria Borghese, dove venne schedata sotto il nome di Pier Francesco Mola. In una nota dell’epoca lo stesso Ricci dichiarava di aver pensato a Gian Lorenzo Bernini come autore del Ritratto di fanciullo (cfr. Della Pergola 1959, p. 230, n. 112), tuttavia l’attribuzione all’artista venne formulata compiutamente per la prima volta da Muñoz (1920, pp. 148-149), poi accolta da Longhi (1928, p. 226), De Rinaldis (1948, p. 68) e Grassi (1945, p. 24). La critica successiva confermò la paternità berniniana del dipinto ad accezione di Martinelli (1950, p. 101), il quale rimase inspiegabilmente orientato sul nome di Mola.
La critica si è a lungo interrogata sull’identità del personaggio rappresentato, non contraddistinto da alcun segno che ne indichi lo stato sociale o l’appartenenza ad una famiglia. Si è ipotizzato che si tratti di uno dei fratelli minori del pittore, Luigi o Domenico, nati rispettivamente nel 1612 e nel 1616.
Luigi, architetto e scultore, fu spesso al fianco di Gian Lorenzo e lavorò per i Chigi durante il pontificato di Alessandro VII, aspetto che potrebbe spiegare il passaggio del ritratto nella collezione di questa famiglia (Petrucci 2003, pp. 153-154). D’altro canto, un ritratto di Domenico è attestato tra i beni lasciati da Bernini alla sua morte e, se corrispondesse a quello in esame, si accorderebbe con la totale assenza di riferimenti all’opera negli inventari seicenteschi della famiglia Chigi, dove in effetti sarebbe confluito successivamente (Petrucci 2006, p. 324).
L’ipotesi che l’effigiato sia individuabile nella stretta cerchia degli affetti di Bernini deriva dal carattere intensamente espressivo della rappresentazione, da cui emerge un sentimento che investe lo spettatore in maniera profonda, nonché dalla somiglianza tra il fanciullo e il protagonista del cosiddetto Ritratto di Poussin (York City Art Gallery), per cui sembra sia stato utilizzato lo stesso modello, elemento che lascia intendere un rapporto continuativo tra quest’ultimo e l’artista stesso.
Come per l’Autoritratto giovanile, anch’esso parte della collezione della Galleria (inv. 554), il dipinto è interamente incentrato sul volto dell’effigiato, con il colletto bianco e una minima porzione del vestito appena abbozzati. Lo sfondo è verdastro, elemento che il Ritratto di fanciullo condivide anche con l’altro Autoritratto della raccolta Borghese (inv. 545), in cui l’artista si rappresenta in età matura ma a mezzo busto.
L’opera si distingue per una straordinaria forza realistica, data dallo sguardo intenso, le labbra carnose e i capelli scomposti. La luce proveniente da sinistra illumina per metà il volto del fanciullo, reso con pennellate vibranti e pastose che costruiscono l’immagine con un’evidenza quasi tridimensionale, lasciando emergere chiaramente il legame con la produzione scultorea (Herrmann Fiore 1992, pp. 41-42; Parca 2016, pp. 108-109). Per il modo di giustapporre i chiari e gli scuri in maniera netta, senza intermediazione, con una tecnica che richiama quella del Guercino giovane, si è parlato di pittura “a macchia”, con colpi di pennello rapidi e densi di materia (Herrmann Fiore cit.; Petrucci 2006, cit.; Parca cit.).
Per quanto riguarda la cronologia del dipinto, la maggior parte degli studiosi intervenuti sulla questione ha collocato l’opera nel terzo decennio del Seicento (per un riepilogo delle posizioni si veda Herrmann Fiore cit.). In particolare, considerando le affinità con l’Autoritratto giovanile, l’esecuzione del Ritratto di fanciullo può convincentemente ritenersi degli stessi anni, intorno al 1623 (Petrucci 2006, cit.; Montanari 2007, p. 102). Unica voce discordante è quella di Herrmann Fiore (cit.), che sposta la datazione del dipinto al decennio successivo per le assonanze riscontrate con il ritratto in disegno di Sisinio Poli (NY, Morgan Library), datato 1638.
Tuttavia, si noti che l’ipotesi dell’identificazione del fanciullo con uno dei fratelli minori di Bernini, seppur ad oggi non confermata da dati certi, si accorda solo con una datazione ai primi anni Venti, quando appunto Luigi e Domenico avevano un’età compatibile con quella dimostrata dal protagonista del ritratto, di circa dieci anni.
Montanari (cit.) ha accostato il Ritratto di fanciullo a quello che Rubens realizzò di sua figlia (Clara Serena Rubens, collezione Liechtenstein), opera rivoluzionaria in cui il maestro fiammingo, fissando in immagine la bambina, già soppiantava la concezione stessa del ritratto seicentesco. Nella tela di Bernini, che pure rappresenta con ogni probabilità un’incursione nella sfera privata dei suoi affetti, si ritrova la stessa carica espressiva e la tendenza a fissare non un soggetto in posa, ma piuttosto un momento di verità naturale, l’istantanea di uno stato d’animo (Parca, cit.)
Pier Ludovico Puddu