Acquistato nel 1783 da Marcantonio Borghese, il dipinto fu eseguito nel 1646 da Abraham van Cuylenborch, artista olandese firmatosi sulla roccia, in basso a sinistra. Rappresenta un gruppo di ninfe raccolto intorno alla casta Diana, qui ritratta sdraiata in un paesaggio di fantasia. A dominare la scena un grande basamento con un bassorilievo raffigurante una scena sacra e la statua di un prigione legato.
Cornice ottocentesca con quattro palmette angolari (cm 75,6 x 89 x 6,5)
Roma, collezione Marcantonio Borghese, 1783 (Doc. 1783, n. 90; Della Pergola 1959); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 13. Acquisto dello Stato, 1902.
Questo dipinto è stato identificato con il quadro di "[...] Cornelio Polembourg (sic) lungo p[al]mi 3 1/12 alto p[al]mi 2 1/2 con cornice intagliata e dorata", ceduto insieme ad altri quadri da un certo Giovanni de Rossi al principe Marcantonio Borghese che nel 1783 sborsò la somma totale di 670 scudi (Doc. n. 90 datato 1783, 30 gennaio in Della Pergola 1959). È molto probabile che a tale data la firma del pittore - 'A. CUYLENBORCH 1646' - fosse nascosta dietro estese ridipinture oppure, come indicato da Paola Della Pergola (Ead. 1959), che la fama di Cornelius Polembourg rendesse più commerciale l'opera da confonderne volutamente l'autografia. Quale che sia l'ipotesi più giusta, è certo che il quadro fu descritto sia nell'inventario fidecommissario (1833) che nelle schede di Giovanni Piancastelli (1891) con un'errata attribuzione al Polembourg, nome corretto solo nel 1883 in seguito alla scoperta della firma e della data (Bode 1883).
Tralasciato curiosamente da Leo van Puyvelde nel suo studio sulla pittura fiamminga a Roma, fu Paola della Pergola (Ead. 1959) a dargli la giusta importanza, collegando il dipinto ad altre opere del pittore olandese raffiguranti lo stesso soggetto, conservate tra Genova (Diana e Callisto, coll. privata), Madrid (Museo del Prado) e L'Aja (Paesaggio con Diana e ninfe, Mauritshuis). Nel 1977, partendo da queste opere, Luigi Salerno mise in rapporto la composizione Borghese con la produzione nota dell'artista, in particolare con la Grotta di Diana (già coll. Feigen, New York, firmata e datata 1649), dimostrando di fatto le limitate capacità di Cuylenborch nel variare i suoi soggetti.
La tela, eseguita nel 1646, rivela tutto l'influsso delle grotte rocciose del Van Lear, qui sviluppato in senso più suggestivo, inserendo nella composizione alcune rovine archeologiche. Ed è proprio questo gusto a riportare la tela Borghese al mondo romano, dove quel rovinismo pittoresco, affermatosi negli anni Quaranta del XVII secolo e grandemente esaltato dal Grechetto, attraverso stampe ed incisioni raggiunse la città Utrecht.
Antonio Iommelli