Questa veduta rappresenta la facciata principale della Villa Borghese e il parco ad essa antistante, con alcune figure che animano la scena. Acquistata dallo Stato nel 1931, la tavola recava l’attribuzione a Bartholomeus Breenbergh. In seguito il dipinto è stato ricondotto ad Abraham van Cuylenborch, pittore olandese seguace di Cornelis van Poelenburgh, e ne è stata proposta una datazione al 1636 circa.
‘600 (con doppio fregio loto/palmette) cm. 59 x 71,6 x 2,5
Acquisto dello Stato dal principe Vladimir Argontinsky Dolgoronkoff, 1931
Esposto alla Mostra del Giardino Italiano a Firenze nel 1931, nello stesso anno il dipinto è stato acquistato dallo Stato presso il principe Vladimir Argontinsky Dolgoronkoff. Si tratta di una rappresentazione evocativa della Villa Borghese e del parco circostante, animata da piccole figure che popolano la scena. Più che la veduta del fabbricato, che si trova al centro del dipinto ma sullo sfondo, sono la bellezza del parco con il lungo viale alberato, le statue laterali e i personaggi in movimento ed essere al centro dell’opera (Stefani 2000, p. 212), quasi come se si trattasse di una scena di vita quotidiana. Diversamente dalla veduta dipinta da J.W. Baur (inv. 519), in questo caso il prospetto della villa nella sua facciata principale è trattato dall’artista come un fondale scenico intorno al quale mettere in opera una composizione paesaggistica e di genere, arricchita da alcuni elementi di invenzione. Sebbene in passato ritenuta una copia dal citato dipinto di Baur, questa tela è del tutto autonoma dalla prima e certamente di altra mano.
In merito all’attribuzione è stato dapprima proposto il nome di Bartholomeus Breenbergh (Della Pergola 1959, p. 147; Pietrangeli 1967, p. 32), il quale ebbe rapporti con Scipione Borghese e avrebbe potuto eseguire l’opera intorno al 1627. Tale attribuzione è stata in seguito respinta (Salerno 1977, p. 986) e variata in favore di Govaert van Schayck (Herrmann Fiore 1997, p. 64), ma più di recente è stato proposto più convincentemente il nome del pittore di Utrecht Abraham van Cuylenborch, con datazione spostata in avanti di circa un decennio (Stefani cit., pp. 212-213; Herrmann Fiore 2006, p. 182). Già Della Pergola notava analogie con lo stile di questo artista, tuttavia ne rifiutava la paternità non essendo noto un soggiorno romano di van Cuylenborch, preferendo quindi assegnare l’opera a Breenbergh. Considerando che la veduta è trasfigurata in senso romantico ed evocativo, con l’aggiunta di elementi di invenzione, l’autore potrebbe aver eseguito il dipinto ispirandosi ad una incisione o ad un’altra fonte figurativa, e non necessariamente dal vero, per cui non si può ecludere la mano di van Cuylenborch. Inoltre, la paternità dell’artista appare sostenibile anche alla luce degli evidenti rapporti stilistici tra questa veduta e il Bagno di Diana, sicuramente autografo (firmato e anch’esso conservato nella Galleria Borghese, inv. 279), dove luci e ombre sono trattate in modo analogo e perfino la tavolozza appare molto simile.
Pier Ludovico Puddu