Il soggetto del dipinto è tratto dalle Sacre Scritture e corrisponde all’episodio in cui re Salomone è chiamato a stabilire la giustizia tra due donne che rivendicano entrambe la maternità di un neonato. Lo pseudonimo dell’autore fu coniato, proprio sulla scorta di questo soggetto, da Roberto Longhi, il quale lo definì un pittore di influenza caravaggesca, probabilmente francese, attivo a Roma nel secondo decennio del Seicento. Tra le proposte di identificazione susseguitesi nel corso degli anni, particolarmente significativa appare quella, avanzata da Gianni Papi, di riconoscervi un giovanissimo Ribera all’indomani del suo arrivo a Roma.
Salvator Rosa cm. 182,5 x 230,5 x 10
Inventario 1693, Stanza II, n. 1; Inventario, 1790, Stanza I, n. 30; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 39, n. 28. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto rappresenta un noto episodio tratto dalla Bibbia che vede protagonista Salomone, terzo re d’Istraele, a cui era attribuita una straordinaria saggezza. Secondo il racconto sacro, due donne si presentarono di fronte al re con un neonato, affermando entrambe di esserne la madre. Per capire chi delle due stesse mentendo, Salomone propose di tagliare a metà in bimbo e darne una parte a ciascuna di loro. Una donna accettò, mentre l’altra, disperata all’idea che il neonato venisse ucciso, supplicò il re di consegnarlo alla sua rivale; il re capì che si trattava della vera madre, e le restituì il figlio.
L’opera ha avuto una storia attributiva piuttosto complessa, che ancora oggi non può dirsi del tutto conclusa. Negli stessi inventari Borghese, a partire da quello redatto nel 1693 dove il dipinto compare per la prima volta, il Giudizio di Salomone è accostato ad artisti quali Lanfranco, Guercino e Passignano, quest’ultimo nome ripreso successivamente da Piancastelli (1891, p. 269) e Venturi (1893, p. 47). I primi a riaprire la questione furono Voss (1910, p. 218), il quale ricondusse il dipinto alla mano di Stanzione, e, più compiutamente Longhi, che vi dedicò un ampio e continuativo studio nel corso degli anni. Dopo una serie di ipotesi sempre riviste, da Orazio Gentileschi (Longhi 1916, p. 256) a Guy François (Longhi 1928, p. 18), a un pittore francese attivo a Roma intorno al 1615 (Longhi 1935, ed. 1972, p. 8), Longhi (1943, p. 58) arrivò a coniare il fortunato pseudonimo di Maestro del Giudizio di Salomone, a cui ricondurre l’opera Borghese (da cui appunto l’artista prende il nome) e una serie di altri quadri quali i cinque Apostoli ex Cussida che lui stesso aveva acquistato dal marchese Gavotti, l’Origene della Galleria Nazionale di Urbino e la Negazione di San Pietro della Galleria Corsini a Roma. Un nucleo che continuò ad arricchirsi nel corso degli anni e che lo studioso riteneva appartenesse ad un caravaggesco, probabilmente francese, attivo a Roma tra il 1616 e il 1620. Da quel momento in poi il dibattito intorno all’identificazione del pittore e alla definizione del gruppo di opere a lui attribuibili si è sviluppato fino ai giorni nostri, non senza qualche perplessità anche sul primissimo nucleo individuato da Longhi. In particolare, pur registrando una straordinaria affinità tra il San Tommaso della serie di Apostoli Gavotti-Longhi e la figura all’estrema destra nel Giudizio di Salomone, l'impostazione più classica di quest’ultimo, sostanzialmente diversa dal primo, potrebbe far dubitare dubbi sulla loro comune paternità (Della Pergola 1959, pp. 85-86). Inoltre, il Giudizio rappresenta una scena animata da personaggi di dimensioni inferiori rispetto al naturale, elemento non in linea con il dettato caravaggesco, come anche la disposizione a mo’ di fregio che contribuisce a quell’effetto complessivamente classicheggiante (Brejon de Lavergnée, Cuzin 1973, pp. 52-56; cfr. anche Spear 1971, p. 135). Ulteriori perplessità riguardano il rapporto di dipendenza tra gli Apostoli e l’opera Borghese: il San Tommaso, così come anche il San Bartolomeo, che ritorna in un’altra figura del Giudizio, sono stati elaborati prima o dopo rispetto a quest’ultimo? In quale opera va individuato il modello e in quale la derivazione? Aspetti che rimangono ancora da chiarire.
In tempi recenti il dibattito ha subito una svolta grazie alla tesi avanzata da Gianni Papi (2002, pp. 21-43; 2005, pp. 270-273; 2007, pp. 134-136; 2011, pp. 104-106), convinto sostenitore dell’identificazione del Maestro del Giudizio di Salomone con Jusepe de Ribera nella sua fase giovanile a Roma.
Secondo lo studioso, numerosi elementi del Giudizio, quali il forte cromatismo, l’essenzialità della scena, la resa delle figure, riportano con estrema coerenza alla giovinezza di Ribera, in un momento precedente alla totale adesione al caravaggismo. Si tratterebbe dunque di un’opera molto precoce, realizzata intorno al 1609-10, e la scelta di una rappresentazione non a grandezza naturale potrebbe non essere riconducibile all’artista bensì al committente.
L’ipotesi apre ad una serie di interessanti scenari, tra cui quello di un rapporto importante tra Ribera e i Borghese, probabilmente nella persona di Scipione, che certamente possedeva il Mendicante (inv. 325) e forse anche la Liberazione di San Pietro dal carcere (inv. 192), attestato in collezione dal 1693.
A favore della tesi di Papi si sono espressi Silvia Danesi Squarzina e, dopo alcune resistenze, Nicola Spinosa (2003, pp. 31-38; 2006, p. 395; 2008, pp. 306-307), mentre Alessandro Zuccari (2009, pp. 345-353; 2010, pp. 42-43) e Marco Gallo (2010, pp. 483-487) non la ritengono convincente. In particolare Zuccari ha proposto di identificare l'autore del Giudizio con Angelo Caroselli, dedito anche alla realizzazione di opere d’imitazione di altri artisti, talvolta con la commistione di più modelli. Il quadro Borghese sarebbe dunque una sorta di pastiche tra il Giudizio di Salomone di Raffaello affrescato sulla volta della Stanza della Segnatura e gli Apostoli Gavotti-Longhi.
In attesa di ulteriori conferme, il dibattito critico sull’identità del Maestro del Giudizio di Salomone rimane tuttora aperto, permettendo comunque di individuare come punto fermo per l’esecuzione del dipinto Borghese una cronologia intorno al secondo decennio del Seicento, su cui gli studiosi sono generalmente concordi.
Pier Ludovico Puddu