Il dipinto, entrato in collezione Borghese tramite il sequestro dei beni del Cesari del 1607, è stato generalmente ricondotto al pittore arpinate con la collaborazione di un altro artista, identificabile con Jacopo Rocchetti alias Giacomo Rocca (attivo a Roma tra il 1592 e il 1605 circa).
Nel buio della notte la figura di Cristo crocifisso, di sicura mano del maestro così come i personaggi in secondo piano e lo sfondo, si staglia sul gruppo degli astanti. Alla mano del Rocca sono invece riconducibili le figure in primo piano delle tre Marie che soccorrono la Vergine svenente e, sulla sinistra, quella di san Giovanni. L’opera può essere datata all’ultimo decennio del Cinquecento.
Sullo sfondo di un paesaggio al tramonto è raffigurato, al centro del dipinto, Cristo sulla croce con il capo reclinato verso destra e i fianchi avvolti in un perizoma bianco. In primo piano si distingue il gruppo delle tre Marie che soccorrono la Madonna svenente sulla sinistra, mentre a destra è raffigurato un biondo san Giovanni in contemplazione, visto di tergo, con veste gialla e manto azzurro. In secondo piano a sinistra è presente un gruppetto di tre figure e, sullo sfondo, un corteo di soldati a cavallo che si allontana. Come suggerito da Kristina Herrmann Fiore (1995, p. 302) la tipologia del crocifisso tragico a capo chino, ideato da Michelangelo e ripreso numerose volte dai suoi seguaci, continua a caratterizzare questo genere di rappresentazioni per tutto il XVI secolo fino a portare allo sviluppo iconografico delle crocifissioni seicentesche: nel dipinto qui considerato, della fine del Cinquecento, il crocifisso appare isolato e separato da ciò che lo circonda, anticipando le opere di Reni, Rubens, van Dyck e altri.
Proveniente con tutta probabilità dal sequestro dei beni ordinato nel 1607 da Paolo V ai danni del Cavalier d’Arpino, che era stato accusato di detenzione illecita di archibugi, il dipinto può essere identificato nell’inventario del sequestro con quello di cui al n. 35: “un Cristo morto con le Marie”. L’attribuzione al Cesari è fornita per la prima volta da un pagamento del 1612 ad Annibale Duranti per avere questi eseguito la “cornice nel Crocifisso di Giuseppino” (Della Pergola 1959, p. 217). Tale attribuzione è confermata nell’inventario Borghese del 1693, dove la tela figura con una dettagliata descrizione: “un quadro alto p.mi tre in circa in tela […] con un Cristo in croce, la Madonna venuta meno, con altre figure […] del Cav. Gioseppe d’Arpino”. Tuttavia, nell’inventario fidecommissario del 1833 l’opera è elencata come di autore incognito.
Il tentativo di Adolfo Venturi (1893, p. 111) di attribuire il Calvario a Cesare Nebbia viene rifiutato da Roberto Longhi (1924, p. 194), che lo restituisce alla scuola del Cavalier d’Arpino, ipotesi accolta da Paola Della Pergola (1959, p. 65), che cataloga la tela come vicina alla maniera del Cesari.
Il problema attributivo è tuttavia più complesso, come segnalato da Herwarth Röttgen (1974, pp. 27-28), il quale nota la compresenza di due diverse mani: il gruppo delle tre Marie in primo piano è lontano dalla maniera del Cavaliere, risultando più rigido e freddo, ed è piuttosto da ricondurre a quel filone della pittura romana di fine Cinquecento che prende le mosse da Daniele da Volterra. Il gruppo delle due Marie al centro è infatti una derivazione da quello dipinto dall’artista toscano nella Deposizione di Cristo nella chiesa di Trinità dei Monti, da cui viene ripresa anche la fredda cromia. Tale gruppo sarebbe stato eseguito da Giacomo Rocca, allievo di Daniele da Volterra e amico e collaboratore del Cesari, di cui Baglione ricorda la morte sotto Clemente VIII; secondo Röttgen il dipinto, rimasto incompiuto alla morte di Rocca, sarebbe stato terminato dall’arpinate, a cui spetterebbe la parte centrale con la figura del Cristo in croce, il gruppo dei tre uomini sulla sinistra e tutto lo sfondo. A sostegno di questa assegnazione lo studioso segnala anche due disegni del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (Santarelli nn. 2172 e 7728), entrambi eseguiti per la cappella Contarelli e riutilizzati dal Cesari anche per il gruppo dei tre uomini nel dipinto qui esaminato.
Di diverso avviso Herrmann Fiore (1995, pp. 302-303), che pur confermando la porzione riferibile al pennello del Cavalier d’Arpino, ipotizza l’intervento di un modesto collaboratore orientato verso Daniele da Volterra per quanto riguarda il gruppo delle tre Marie. Considerando che solitamente nell’esecuzione di un dipinto si comincia dalla parte centrale e poi si procede dall’alto verso il basso, tale gruppo sarebbe stato aggiunto solo successivamente al resto della composizione, in tal caso principiata dal Cesari.
Recentemente Marco Simone Bolzoni (2016, p. 131) torna sull’idea di Röttgen ascrivendo la porzione in primo piano a Jacopo Rocchetti alias Giacomo Rocca, che era stato beneficiario di un lascito testamentario di Daniele da Volterra e fin dagli anni ottanta era in stretto contatto con il più giovane collega arpinate, con il quale collaborò a più di un progetto, come ricordato da Baglione. Secondo Bolzoni la tela fu dunque terminata dal Cavalier d’Arpino all’inizio dell’ultimo decennio del Cinquecento.
L’opera potrebbe essere databile al periodo 1592-1594, il cui termine post quem è stato individuato da Röttgen (2002, p. 261) nel periodo in cui il Cavaliere stava elaborando gli studi per la cappella Contarelli.
Pier Ludovico Puddu