Questo dipinto raffigurante Filippo I d'Asburgo proviene dall'eredità di Olimpia Aldobrandini, passato in collezione Borghese entro il 1650. Tradizionalmente attribuito a Bernard van Orley, è stato recentemente assegnato a Michael Sittow, pittore estone attivo principalmente presso la corte degli Asburgo, considerato alla sua epoca uno dei più importanti artisti della scuola fiamminga. L'opera rappresenta il sovrano asburgico, ritratto in abiti da cavaliere, mentre regge l'elsa di una spada e sfoggia sul petto il Toson d'oro, il tipico collare dell'ordine cavalleresco creato nel 1431 dal duca Filippo di Borgogna, caratterizzato da un pendente centrale con la pelle di un ariete ("il tosone", dal francese toison «vello tosato»). L'effigiato, inoltre, stringe tra le dita un fiore di garofano viola - forse un'allusione al matrimonio con Giovanna detta la Pazza - e indossa un raffinato cappello, abbellito da una grossa spilla rotonda, decorata con il motto "MEMENTO MEI O MATER DEI" e con l'immagine di una Madonna con il Bambino.
Cornice Salvator Rosa cm 52 x 32,5 x 5,4
Roma, collezione Olimpia Aldobrandini senior, 1626 (Della Pergola 1959); Roma, collezione Borghese, 1650 (Manilli 1650); Inventario Olimpia Aldobrandini 1682 (Della Pergola 1959); Inventario 1693, Stanza V, n. 72 (Della Pergola 1959; Ead. 1964 corregge con Stanza V, n. 305); Inventario 1765, p. 38; Inventario 1790, Stanza VI, n. 13; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 23. Acquisto dello Stato, 1902.
Sul medaglione appuntato sul berretto: "O.MATER.DEI.ME.MENTO.MEI"
Un dipinto raffigurante un ritratto d'uomo con il Toson d'oro è elencato in due inventari di casa Aldobrandini, il primo stilato nel 1626 ("Un ritratto d'un homo che porta il tosone in quadro piccolo di mano di Alberto Duro del n. 189"; cfr. Della Pergola 1959) e il secondo nel 1682 ("un quadro di un ritratto di un huomo che ha il Tosone di mano di Alberto Duri, alto palmi tre"). È chiaro, dunque, che attraverso l'eredità di Olimpia Aldobrandini senior, passata nelle mani di Olimpia Aldobrandini junior, quest'ultima moglie di Paolo Borghese, l'opera giunse nella raccolta pinciana, dove nel 1650 fu descritta da Iacomo Manilli. Questi, 'guardarobiere di detta villa' (Manilli 1650), identificò il personaggio ritratto con 'Filippo Terzo Re di Spagna', identità ben presto ignorata dagli estensori dei successivi inventari di casa Borghese - dove il sovrano viene descritto come 'Giovane' (Inv. 1693) o più genericamente come 'Principe' (Inv. 1765) - interpretata fino a pochi anni fa come Carlo V di Spagna (Morelli 1892; A. Venturi 1893; Longhi 1928; De Rinaldis 1928; Id. 1939; Von Baldass 1944; Della Pergola 1959; Besta 1999; Herrmann Fiore 2006) e solo di recente debitamente riconosciuta con quella di Filippo il Bello (Lafenestre 1905; Van Puyvelde 1950; Herrmann Fiore 2011).
Ipotesi controverse hanno animato anche il dibattito sul suo autore. Variamente attribuito in antico ad Albrecht Dürer (Inv. 1626; Inv. 1682) e a Luca di Leida (Inv. 1693; Inv. 1765; Inv. Fid. 1833; Piancastelli 1891), tali nomi furono scartati senz'alcun dubbio da Adolfo Venturi che nel 1893 parlò per la prima volta di Bernhard Strigel, parere respinto da Roberto Longhi (1928) ma ripreso nel 1928 da Aldo de Rinaldis, che nella stessa sede riferì a Bernard van Orley un Ritratto d'uomo della Pinacoteca di Napoli molto vicino all'esemplare Borghese; e nel 2000 da Letizia Arbeteta Mira (in El arte de la plata 2000). Sempre al Van Orley pensano inoltre Ludwig von Baldass, parlando però di un anonimo artista di bottega (Von Baldass 1944) e Paola della Pergola (1959) che, riprendendo l'idea del suo collega di un prototipo perduto da cui deriverebbero diverse redazioni (Von Baldass 1944), elencò una serie di esemplari molto vicini alla tavola Borghese, tra i quali un dipinto in collezione privata viennese.
Nel 2011, rivedendo una sua prima attribuzione in favore del Van Orley (Herrmann Fiore 2006), Kristina Herrmann Fiore si è espressa in favore di Michael Sittow, un pittore estone attivo alla corte di Isabella di Castiglia, Filippo il Bello e di Margherita d'Austria, noto alla sua epoca per essere uno dei più importanti rappresentanti della scuola pittorica fiamminga. In realtà, un primo timido passo verso quest'artista fu fatto nel 1976 da Jazeps Trizna (1976), che però riferì l'opera a un suo seguace, parere ripreso nel 1992 da Gillon (in Reyes y Mecenas 1992) e riletto ed ampliato nel 2001 dalla Herrmann Fiore. In occasione della mostra torinese sui Cavalieri, infatti, la studiosa ha proposto di riconoscere la versione Borghese come un autografo del pittore estone, avanzando però l'ipotesi che il ritratto possa derivare da un originale più antico, dal quale discenderebbe l'analogo quadro della cattedrale di Saint Sauveur di Bruges, di poco più grande della tavola romana, sulla cui targa si legge un omaggio a 'Filippo il Bello, nato in quella città' (Devliegher 1979), un'ulteriore conferma per l'identificazione del personaggio.
Per quanto concerne invece la datazione, ancora Kristina Herrmann Fiore (Ead. 2011), immaginando l'esecuzione del prototipo perduto intorno al 1496, anno dello sposalizio di Filippo il Bello con Giovanna la Pazza - evento a cui alluderebbe il garofanino viola rivolto verso il basso - ha scalato cronologicamente il quadretto Borghese intorno al 1505-06. In questo periodo, infatti, il pittore, al servizio del sovrano asburgico, avrebbe realizzato questa seconda versione senza però aggiornare l'età del principe, una consuetudine tipica della ritrattistica regale che tende a tramandare la memoria visiva dell'effigiato, rappresentandolo dunque sempre giovane anche nelle repliche più tarde (Ead. 2011).
Se si rimane nel campo delle ipotesi, si può inoltre immaginare che il fiore dipinto tra le mani di Filippo rimandi al mistero dell'incarnazione della Vergine Maria - a cui in effetti rinvierebbe il significato del suo nome in latino (carnis, ovvero 'carne') - piuttosto che ad un matrimonio come invece ha ipotizzato la studiosa (Herrmann Fiore 2011) segnalando alcuni 'dipinti di fidanzamento', come il Ritratto di giovane uomo di Hans Memling (New York, Pierpont Morgan Library) o quello di Massimiliano I di Joss van Cleve (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Ciò spiegherebbe non solo la presenza della Vergine col Bambino nella medaglia appuntata sul cappello dell'effigiato, invocata nel quadro come sua protettrice ("MEMENTO MEI O MATER DEI"), ma anche il colore violaceo del garofanino che sembra alludere al mistero della morte e passione di Gesù Cristo. Stando infatti a un'antica tradizione, il fiore sarebbe nato da una lacrima versata da Maria durante il Calvario e per questo motivo introdotto da molti pittori nei loro dipinti, a simboleggiare la sofferenza della Madre dell'Uomo e indirettamente la sua fede incrollabile per Dio.
Antonio Iommelli