La tavola, forse proveniente dalla ricca eredità di Fulvio Orsini, è stata attribuita dalla critica a Marcello Venusti, pittore valtellinese vicino a Michelangelo e a Sebastiano del Piombo, attivo a Roma nella bottega raffaellesca di Perin del Vaga. Raffigura la testa del Salvatore che probabilmente formava pendant con un ritratto perduto della Vergine.
Salvator Rosa (cm 53,6 x 44,3 x 6)
(?) Roma, collezione Fulvio Orsini, 1600 (Parrilla 2014); Roma, collezione Olimpia Aldobrandini, 1624 (Parrilla 2014); Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza 1, n. 34; Della Pergola 1964); Inventario 1700 ca, Stanza I, n. 22; Inventario 1790, Stanza V, n. 17; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 22. Acquisto dello Stato, 1902.
Secondo una vecchia ipotesi, il dipinto proverrebbe dalla ricca eredità del cardinale Antonio Maria Salviati (Della Pergola 1959), proprietario di un ovato simile e di una Testa della Vergine Maria, entrambi accomodati dal pittore Antonio Mariani come risulta da una ricevuta datata 1612 (Fondo Salviati, Conti artigiani, 1612 in Della Pergola 1959). Tuttavia, l'assenza di ulteriori informazioni e la fortuna riscossa da queste immagini, spingono ad accantonare tale ipotesi, considerando inoltre che la collezione Salviati confluì in quella Borghese solo nel 1794 (Costamagna 2001).
Come invece suggerito da Francesca Parrilla (2014), la tavola potrebbe provenire dalla collezione di Fulvio Orsini (1529-1600), passata da questi agli Aldobrandini, dove è citata per la prima volta nel 1624, confluendo infine con una parte delle raccolte di Olimpia Aldobrandini in casa Borghese, come segnalato nel 1964 da Paola della Pergola che identificò questo Salvatore nell'inventario del 1693 (Inv. 1693; Della Pergola 1964).
Attribuito inizialmente al divino Raffaello (Inv. 1700), il dipinto ricompare nel 1790 come opera di Federico Zuccari (Inv. 1790), nome scartato dall'estensore degli elenchi fidecommissari in favore di Paris Bordon e in tal modo citato da Giovanni Piancastelli (1891). Riferito da Adolfo Venturi (1893) a Giulio Clovio, fu Roberto Longhi (1928) ad assegnarlo definitivamente a Marcello Venusti, parere ripreso con qualche dubbio da Paola della Pergola (1959) ma confermato successivamente da tutta la critica (Della Pergola 1964; Herrmann Fiore 2006; Parrilla 2014; Ead. 2019).
Interessante segnalare in questa sede la lettura fatta da Francesca Parrilla a proposito della vecchia attribuzione ottocentesca che avvicinava questo Salvatore al Bordon. A detta della studiosa (2014; Ead. 2019), infatti, tale riferimento sarebbe da leggere in favore di uno spiccato interesse del valtellinese per la pittura veneziana, in particolar modo per Tiziano, da cui Venusti trasse numerose copie assimilandone il disegno e il timbro luministico. Di certo tale lettura, pienamente condivisibile, oltre a riportare questa testa nel solco di quelle opere eseguite dal pittore all'ombra dei Farnese, forse rifacendosi ad un prototipo del maestro cadorino già nelle collezioni roveresche, ne chiarirebbe la provenienza da casa Orsini, essendo Fulvio uno degli uomini più vicini al cardinale Alessandro, suo intimo a partire dal 1544.
Antonio Iommelli