Il pannello, a tessere musive policrome, raffigura due scene differenti: a sinistra sette uomini affrontano un grosso toro, sei sono caduti e feriti nello scontro, il settimo, anch’esso ferito, trattiene l’animale. Sulla destra due guerrieri si scontrano contro un gruppo di animali, un toro, uno struzzo, un alce e un cervo. Una delle due figure, posta in primo piano, trafigge un leone con una lancia. I personaggi, dalle vesti ben caratterizzate, sono rappresentati su un fondo monocromo di tessere bianche. Il mosaico, rinvenuto insieme ad altri quattro e a due di dimensioni minori, doveva decorare, anticamente, il pavimento di un criptoportico di una villa suburbana scavata nel 1834 nella tenuta Borghese di Torrenova, lungo la via Casilina. Gli scavi furono eseguiti per volere del principe Francesco Borghese Aldobrandini. I pannelli mostrano scene di caccia (venationes) e di combattimenti gladiatori (munus), secondo l’uso di esibire all’interno della propria domus avvenimenti autocelebrativi. Numerosi studi collocano il mosaico tra il III e il IV secolo d.C.
Il pannello proviene, insieme ad altri quattro e a due di dimensioni minori, da un’ampia villa rinvenuta nella tenuta Borghese in una frazione di Torrenova, località Vermicino-Quarto della Giostra, sulla via Casilina. Gli scavi furono eseguiti nel 1834 per volere del principe D. Francesco Borghese Aldobrandini. Secondo Luigi Canina ”serviva di nobil pavimento evidentemente ad un criptoportico ossia un portico chiuso, disposto lungo un lato del peristilio più interno dell’antica villa anzidetta. Si estendeva quel mosaico in un suolo della lunghezza di circa 140 palmi e della larghezza di 12; ed il locale sembra esser stato fabbricato a tale uso espressamente. Due terze parti di questo mosaico furono trovate ben conservate e il rimanente mancante. Si divideva in cinque riquadri cinti di meandro fatto pure in mosaico di due semplici colori” (Canina, 1834, pp. 193-194).
I mosaici dovevano quindi decorare un criptoportico, lungo in origine circa 45 metri, che correva attorno al peristilio di una villa appartenente, anticamente, al suburbio di Roma. Della decorazione musiva si conserva esclusivamente la parte figurata di 27,90 metri; le cornici a meandro risultano perdute. La composizione è articolata come un unico fregio narrativo, con la rappresentazione di più fasi di un singolo avvenimento. Su un fondo di tessere bianche sono raffigurate le scene finali di combattimenti gladiatori, munera, e di caccia, venationes, con l’indicazione dei nomi dei protagonisti.
I mosaici, divisi in riquadri rettangolari e asportati con la tecnica dello strappo, furono trasportati a Roma e posti, fino al 1839, nel Casino dell’Orologio, luogo in cui furono restaurati da Gaetano Ruspi e da Filippo Scaccia (Archivio Apostolico Vaticano, busta 347, fascicolo 6). A questa data i pannelli risultano collocati nel salone, dove Giuseppe Santalmassi ebbe modo di realizzare disegni e incisioni. Il restauro non ha intaccato l’uniformità della scena e le piccole lacune, dovute probabilmente al distacco, sono concentrate soprattutto sul fondo bianco risarcito. Sono visibili, tuttavia, alcune figure che si conservano in maniera parziale.
Il pannello in questione, posto al centro del salone, mostra due scene distinte su fondo bianco, sul quale fasce di colore marrone indicano il terreno dell’arena e le ombre dei personaggi sottolineano la profondità delle figure. Sono raffigurati un gruppo di uomini caduti e feriti sotto l’attacco di un toro e una scena di venatio, con due cacciatori impegnati contro un gruppo di animali. A sinistra sette figure, disposte su piani paralleli, circondano un toro trattenuto da un uomo sanguinante. Sono ritratte nell’atto di cadere o già cadute e indossano tuniche verdi con clavi e bordi neri. A destra il venator Sabatius, vestito di una tunica con orbiculi, lotta contro un grande toro dal pelo marrone; dietro l’animale sono presenti uno struzzo e un alce; un cervo dalle corna ramificate è disteso a terra. In primo piano un secondo venator trafigge un leone con la lancia. Di difficile lettura risulta una figura sotto al ventre del leone e una seconda dietro alla figura di Sabatius, della quale si conserva solo una manica.
Numerosi sono gli studi che si sono occupati del mosaico Borghese in seguito al ritrovamento. Nella pubblicazione di Luigi Canina, dello stesso anno 1834, viene avanzata l’ipotesi di una scoperta del pavimento musivo già nel XVII secolo. Da esso deriverebbe la denominazione Quarto della Giostra, termine con il quale venivano indicati, al tempo, i combattimenti contro animali. Luigi Rocchetti, al quale si deve una prima esaustiva disamina nel 1961, individua, per il pannello in questione, una realizzazione sommaria nella fisionomia dei volti dei venatores rispetto ai ritratti particolareggiati dei gladiatori negli altri pannelli, osservazione che avanzerebbe dei dubbi sull’unità di conservazione dell’opera. Per quanto riguarda le vesti, vede negli orbiculi puntinati, che ornano la tunica del venator in lotta contro il leone, una particolare similitudine con quelli del venator nella scena della caccia al cinghiale del mosaico di Piazza Armerina, datato al IV secolo d.C. Rocchetti trova che la pettinatura del venator Sabatius, resa a riccioli, e quella di un caduto del gruppo a sinistra, a ciuffi singoli, si ritrovino quasi identiche nei personaggi del rilievo con la raffigurazione della largitio dell’arco di Costantino. Dal punto di vista epigrafico l’evidente apicatura di alcune lettere, come la A con un marcato tratto orizzontale che sporge verso destra, conferma per l’autore una datazione tra III e IV secolo. Al medesimo periodo conduce un’analisi dell’onomastica: il culto di Sabatius, dio di origine tracia, ebbe grande diffusione a Roma nel III secolo d.C., affiancato a quello della Dea Caelestis, come attestano le numerose epigrafi conservate. (Guarducci 1946-1948, pp. 11-25; Cordischi 1990, pp. 193-200). L’autore conclude, infine, avanzando l’ipotesi di due diverse maestranze nella realizzazione per rendere conto della discrepanza tra le scene gladiatorie e quelle venatorie.
Il tema dei munera gladiatoria nelle produzioni musive si diffonde nelle provincie dell’Impero con raffigurazioni di soggetti isolati posti all’interno di riquadri in composizioni decorative complesse o nell’area africana in raffigurazioni più articolate trattate come un fregio narrativo. In Italia le testimonianze sono piuttosto esigue, concentrate soprattutto in ambito domestico dal periodo tardo-antonino, quando le domus assumono il ruolo di luoghi destinati all’autocelebrazione del dominus, in cui si esaltano il prestigio e le virtus del padrone di casa. Petronio nel Satyricon testimonia la presenza di affreschi raffiguranti scene gladiatorie nella casa del liberto Trimalchione, già nel I secolo d.C.
A Roma sono varie le testimonianze pertinenti a contesti privati. Dal colle Aventino proviene un mosaico di tessere policrome,datato al IV secolo d.C., con scene di venatio. La decorazione musiva, strutturata come un unico svolgimento, doveva ornare un ambiente di rappresentanza di una domus (Blake 1940, p.118, pl. 30).
Una struttura ad emblemata presentano due mosaici, oggi conservati presso il Museo Archeologico di Madrid, rinvenuti sulla via Appia. Del primo, portato alla luce nel 1720 all’altezza della chiesetta Quo Vadis, si conservano solo due quadretti policromi raffiguranti delle quadrighe, mentre le figure di gladiatori sono ricordate esclusivamente da due raffigurazioni pittoriche della collezione Eton. I frammenti dovevano essere pertinenti a un’ampia decorazione pavimentale suddivisa geometricamente in riquadri, che doveva decorare un ambiente di un monumento funerario. Il secondo, portato alla luce nel 1670 nel cosiddetto orto del Carciofolo, fuori Porta Capena, doveva decorare le pareti di un ambiente termale di un edificio di notevoli dimensioni; anche di questo ci sono pervenuti solo due emblemata figurati di tessere policrome.
In conclusione, la mancanza di dati sul contesto di ritrovamento, ad eccezione della pubblicazione di Luigi Canina, porta ad ipotizzare per il mosaico Borghese, soprattutto sulla base di considerazioni stilistiche, una datazione tra il III e il IV secolo d.C.
Giulia Ciccarello