Nel 1834, durante gli scavi effettuati per volere del principe Francesco Borghese Aldobrandini nella tenuta di famiglia presso Torrenova, lungo la via Casilina, vennero ritrovati estesi frammenti musivi. I pannelli, sistemati nel salone, cinque di notevoli dimensioni e due più piccoli, dovevano decorare anticamente il pavimento di un criptoportico di una villa suburbana con scene di caccia (venationes) e di combattimenti gladiatori (munera).
Il riquadro musivo, a tessere policrome su fondo monocromo bianco, raffigura su due piani una scena di caccia alla pantera. Nella fascia superiore gli animali sono trafitti da lance e riversi a terra, in quella inferiore lottano contro i venatores. Sulla destra si nota un felino non coinvolto nella lotta, mentre sulla sinistra si conservano in maniera parziale le zampe di un altro animale. La raffigurazione di munera e venationes all’interno di ambienti privati apparteneva alla diffusa tradizione di esibire episodiche testimoniassero ed esaltassero le virtutes del padrone di casa.Gli studi collocano il mosaico tra il III e il IV secolo d.C.
Il pannello, posto dinnanzi alla porta di comunicazione tra il salone e la sala IV, mostra un combattimento tra due venatores (bestiarii) e le pantere. Una descrizione di tale animale nonché della sua introduzione a Roma per i giochi del circo è data da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia VIII, 62-65). Le scene sono articolate su due piani distinti: sul fondo quattro felini giacciono trafitti da lance, mentre nel piano inferiore due venatores feriscono con le lance due animali in posizione di attacco. Ai lati si vedono altre due pantere; di quella a sinistra si conservano solo parzialmente le zampe.
Strisce di colore marrone individuano il terreno dello scontro e le ombre sottolineano la profondità delle figure. I venatores, eseguiti con tessere policrome su un fondo monocromo bianco, indossano ricche vestidi colore bianco-grigio impreziosite da orbicula a disegni geometrici. Nella figura di sinistra, indicata con il nome Melitio, le decorazioni sono visibili lungo l’orlo inferiore della spalla; in quella di destra invece lungo l’orlo inferiore della veste di colore nero trapunto di bianco. Il manto degli animali è reso principalmente con colore grigio e verde, mentre le macchie con tessere di colore nero. Il pannello sembra essere composto da diverse lastre musive, unite da una lunga linea orizzontale. Sono presenti alcune lacune, dovute probabilmente al distacco, risarcite con tessere bianche. La disposizione delle figure appare non sempre coerente tanto da far supporre una ricomposizione operata durante gli interventi di restauro antichi.
Il riquadro viene scoperto nel 1834, insieme ad altri quattro delle stesse dimensioni e due minori, nella tenuta Borghese in una frazione di Torrenova, località Vermicino-Quarto della Giostra, sulla via Casilina. In quel momento Luigi Canina, presente al momento del rinvenimento, ritenne tuttavia che i mosaici fossero conosciuti già nel XVII secolo e che la denominazione Quarto della Giostra, data alla zona, derivasse dal termine con il quale erano indicati, al tempo, i combattimenti contro animali. Durante gli scavi, voluti dal principe D. Francesco Borghese Aldobrandini, venne portata alla luce un’ampia villa suburbana. Canina testimoniava come i mosaici decorassero un criptoportico disposto lungo un lato del peristilio più interno, per una lunghezza di circa 140 palmi e una larghezza di 12. Secondo lo studioso “Due terze parti di questo mosaico furono trovate ben conservate ed il rimanente mancante. Si divideva in cinque riquadri cinti di meandro fatto pure in mosaico di due semplici colori” (Canina, 1834, pp. 193-194). Dell’originaria estensione del pavimento si conserva esclusivamente la parte figurata di 27,90 metri, mentre le cornici a meandro risultano perdute. La composizione si snoda inun unico fregio narrativo, rappresentando più fasi di un singolo avvenimento, scene di combattimenti gladiatori, munera, e di caccia, venationes, su un fondo monocromo bianco. Alcune figure sono individuate con il loro nome. Dopo il rinvenimento, i mosaici, divisi in riquadri rettangolari, furono trasferiti a Roma e conservati, fino al 1839, nel Casino dell’Orologio, dove furono restaurati da Gaetano Ruspi e da Filippo Scaccia (Archivio Apostolico Vaticano, busta 347, fascicolo 6). In tale data i pannelli,posti nel salone, furono riprodotti da Giuseppe Santalmassi.
Luigi Rocchetti, nel 1961, realizza un ampio studio dei mosaici, concentrato in particolare sulla resa stilistica delle figure. Lo studioso osserva che gli orbicula delle vesti sono raffigurati in maniera accurata secondo l’uso della fine del III secolo d.C. Inoltre, per le decorazioni geometriche che compaiono sulla spalla del venator Melitio, individua una somiglianza con quelle che decorano le vesti dei tre personaggi impegnati in una caccia al rinoceronte nel mosaico di Piazza Armerina, datato al IV secolo d.C. (Gentili 1959, tav. XXVII). Per quanto riguarda la pettinatura del venator, con i capelli che scendono in maniera ordinata fino alla fronte lasciando libera la tempia e congiungendosi con folte basette alla barba, viene proposta una datazione alla seconda metà del III secolo d.C. Più precisamente, sotto il regno di Diocleziano, come conferma un aureo dello stesso imperatore e un altro di Galerio Massimiano, conservati al Museo Nazionale Romano (Panvini Rosati 1961).
Nell’esame epigrafico lo studioso rileva un principio di apicatura, la L del nome Melitio, con la sbarra inferiore obliqua verso il basso, che sembra essere diffusa soprattutto nel III e IV secolo (Hübner 1885, p. LXI).Rocchetti conclude osservando una diversa resa tra le figure dei gladiatori, caratterizzate e dinamiche, e quelle dei venatores, maggiormente stilizzate e prive di individualità ritrattistica. Anche la figura delle pantere sembra ispirarsi ad una iconografia stereotipata e ripetitiva in una composizione che risulta infine monotona e ferma rispetto alle scene gladiatorie degli altri pannelli.
Dal periodo tardo-antonino si diffonde in Italia l’uso di abbellire gli ambienti privati con scene di munera gladiatoria, che avevano lo scopo di esaltare le virtutes e il prestigio del committente. Le rappresentazioni musive potevano raffigurare singoli soggetti all’interno di riquadri in composizioni decorative complesse oppure costituire un unico fregio narrativo in uno schema più articolato. Alla prima tipologia, costituita da una struttura ad emblemata, si possono ascrivere due mosaici provenienti dalla via Appia e conservati presso il Museo Archeologico di Madrid. Dell’uno, rinvenuto all’altezza della chiesetta Quo Vadis nel 1720 e pertinente probabilmente alla decorazione pavimentale di un edificio funerario, si conservano solo due quadretti in tessere policrome raffiguranti delle quadrighe. I riquadri a tema gladiatorio, invece, sono testimoniati esclusivamente da due raffigurazioni pittoriche conservate nella collezione Eton. L’altro, portato alla luce nel 1670 nel cosiddetto orto del Carciofolo fuori Porta Capena e pervenutoci anch’esso solo con due emblemata figurati di tessere policrome, doveva decorare le pareti di un ambiente termale di un edificio di notevoli dimensioni.
Uno schema a narrazione continua con scene di venationes presenta, invece, il pavimento musivo in tessere policrome proveniente da un ambiente di una domus sul Colle Aventino, datato al IV secolo d.C. (Blake 1940, p.118, pl. 30).
Per il mosaico Borghese, la mancanza di ulteriori informazioni sul contesto di rinvenimento ad eccezione della pubblicazione di Luigi Canina, induce ad avanzare un’ipotesi di datazione basata esclusivamente sui dati stilistici e inquadrabile in un periodo tra il III e il IV secolo d.C.
Giulia Ciccarello