Il pannello musivo, rinvenuto insieme ad altri quattro e due di dimensioni minori, doveva decorare, anticamente, il pavimento di un criptoportico di una villa suburbana scavata nel 1834 nella tenuta Borghese di Torrenova, lungo la via Casilina, per volere del principe Francesco Borghese Aldobrandini. Sono raffigurate scene di caccia (venationes) e di combattimenti gladiatori (munera), secondo l’uso di esibire, all’interno della propria domus, avvenimenti autocelebrativi. Nel riquadro musivo sono rappresentati, in particolare, i momenti finali di scontri in arena con tre coppie di gladiatori, indicati ciascuno con il proprio nome. I numerosi studi indicano un inquadramento cronologico del mosaico tra il III e il IV secolo d.C.
Proviene dagli scavi del 1834 in una frazione di Torrenova sulla via Casilina. Acquisto dello Stato, 1902.
Il pannello, posto dinanzi alla porta di comunicazione con la sala IV, raffigura due scene di combattimenti in arena, munera. Il mosaico, composto da diversi frammenti riuniti, presenta una notevole lacuna centrale risarcita con tessere bianche di restauro. Sulla sinistra sono raffigurate tre coppie di gladiatori di diverse classi, indicati ciascuno dal proprio nome, alla fine del combattimento. La prima coppia è composta dal vincitore, Talamonius, che sovrasta il reziario Aurius. La figura, rivolta verso il pubblico, ha capelli lunghi (connotazione tipica dei barbari) e indossa un tessuto a scaglie che copre petto e braccio destro. Il subligaculum, il panno stretto in vita è sorretto da un balteus, cinturone molto alto, mentre il polpaccio sinistro è protetto dallo schiniere, l’ocrea, policroma di vivaci colori. Con il piede sinistro calpesta, in segno di vittoria, la palma sorretta dalla mano del giacente Aurius raffigurato in una posizione volutamente innaturale che ne sottolinea il la morte. Il reziario, anch’egli con capigliatura lunga, indossa il galerus, elemento metallico di protezione, rappresentato staccato dalla schiena e dalla mano, e alla vita un balteus particolarmente decorato a quadrati verdi e rossi alternati. La figura è contornata dalle sue armi ormai a terra e dalla lettera theta che ne indica la morte.
Sopra, in prospettiva, è rappresentato il combattimento tra il reziario Cupido, morente a terra, e il secutor Bellerefons. Le figure poggiano su una striscia di tessere gialle a evocare il terreno dell’arena. Cupido è raffigurato con la capigliatura lunga delle due figure precedenti, indossa il galerus che sporge dalla testa ed è munito di un tridente del quale s’intravede l’asta. Il secutor Bellerefons, in ginocchio, è ritratto nell’atto di scagliare il colpo mortale all’avversario dopo aver gettato lontano il suo scudo. Il capo è coperto da una galea mentre in vita indossa un balteus impreziosito da una decorazione geometrica a tessere policrome gialle e rosse.
Al centro della composizione campeggia inginocchiata la figura del reziario Melea che con la mano destra brandisce un lungo pugnale. Il braccio destro è probabilmente di restauro mentre il petto è coperto da due decorazioni geometriche policrome, una rettangolare e una circolare nella quale è inscritta una croce rossa. Al ginocchio sinistro del gladiatore si sovrappone il piede della figura successiva, raffigurata distesa. Si tratta probabilmente di un secutor con gambe ricoperte da fasce e il braccio destro riparato da una manica gialla con strisce di cuoio rosse. Nella mano destra impugna un lungo pugnale mentre il braccio sinistro, che sostiene il corpo, poggia su quello che potrebbe interpretarsi come l'interno di uno scudo. Dal ventre scendono gocce di sangue che si depositano sul terreno. Dietro, in secondo piano, è rappresentata la figura di un giovane di ridotte dimensioni di nome Eliacer. Indossa un perizoma bianco sui fianchi; il braccio sinistro sorregge una stoffa e il destro trattiene un cavallo che si conserva parzialmente. Potrebbe trattarsi di un incitator, colui che sollecitava alla lotta i combattenti nell’arena o dell’evocazione dello stesso vincitore. L’ultimo gladiatore sulla destra, Pampineus, è un cataphractus cioè un lottatore ricoperto interamente di indumenti. Il capo è protetto da una galea e indossa una manica a scaglie, una cotta sul petto fermata in vita da un balteo e sulle gambe degli schinieri gialli. Nella mano sinistra sorregge uno scudo riccamente ornato da decorazioni geometriche mentre con la destra sferza un colpo verso una figura di cui rimane solamente un piede.
Il mosaico fu rinvenuto, insieme ad altri cinque pannelli rettangolari di notevoli dimensioni e due minori, nel 1834, durante gli scavi voluti dal principe D. Francesco Borghese Aldobrandini nella tenuta Borghese in una frazione di Torrenova, località Vermicino-Quarto della Giostra, sulla via Casilina. Luigi Canina, presente al momento dello scavo, sostenne che il complesso fosse stato già scoperto due secoli addietro e che la denominazione del luogo derivasse dal termine con il quale al tempo erano indicati i combattimenti gladiatori. I riquadri musivi dovevano decorare il pavimento di un ambiente di una ricca villa suburbana, come riporta lo stesso Canina: “serviva di nobil pavimento evidentemente ad un criptoportico ossia un portico chiuso, disposto lungo un lato del peristilio più interno dell’antica villa anzidetta. Si estendeva quel mosaico in un suolo della lunghezza di circa 140 palmi e della larghezza di 12; ed il locale sembra esser stato fabbricato a tale uso espressamente. Due terze parti di questo mosaico furono trovate ben conservate e il rimanente mancante. Si divideva in cinque riquadri cinti di meandro fatto pure in mosaico di due semplici colori” (Canina 1834, pp. 193-194). Il mosaico fu prelevato mediante la tecnica dello strappo, trasportato a Roma, e conservato nel Casino dell’Orologio fino al 1839. Dopo il restauro di Gaetano Ruspi e Filippo Scaccia i riquadri furono posti nel salone, dove Giuseppe Santalmassi ebbe modo di realizzare disegni e incisioni. Della composizione originaria si conservano esclusivamente le parti figurate, per 27,90 metri, mentre risultano disperse le cornici a meandro. La composizione è composta da varie scene di un singolo avvenimento articolate in un unico fregio narrativo. Si tratta di combattimenti tra gladiatori, munera, e di caccia, venationes, raffigurati su piani di terreno di tessere gialle e verdi su uno sfondo monocromo bianco. Le figure indossano ricche vesti di colori vivaci decorate da elementi geometrici, orbiculi.
Luigi Rocchetti, al quale si deve una prima esaustiva disamina nel 1961, individua, per il pannello in questione, una realizzazione particolareggiata nei ritratti dei gladiatori, rispetto alla fisionomia più sommaria dei volti dei venatores negli altri pannelli. Le caratteristiche somatiche delle figure appaiono accentuate soprattutto nella resa della muscolatura delle braccia e delle gambe secondo la corrente di gusto del periodo tardo-severiano. Ma, più ancora, i tratti così poco naturali dei caduti, i reziari Aurius e Cupido, contraddistinti dagli occhi infossati, i lineamenti deformati, i capelli scomposti, mirano ad ispirare pietà verso di essi. È il cosiddetto “espressionismo” romano, opposto alla κοσμιότης classicistica tardo ellenistica, quella ”ordinata bellezza” che si ritrova sui monumenti con scene di battaglia della seconda metà del III secolo appartenenti alla rinascenza gallienica. In particolare una capigliatura a ciuffi ribelli presenta un ritratto di Gallieno conservato al Museo delle Terme a Roma (Felletti Maj 1953, n 304) e una testa della stessa epoca dell'Altes Museum di Berlino (Bovini 1941, pag. 149, fig. 13).
Per quanto riguarda le vesti, Rocchetti ritiene che gli orbiculi geometrici, che ornano ad esempio l’abbigliamento del reziario Melea, abbiano raggiunto una forma organica matura tipica del periodo post dioclezianeo. Tale tipo di decorazione è riscontrata soprattutto in una testimonianze del IV secolo d.C. come il mosaico di Piazza Armerina.
Dal punto di vista epigrafico l’evidente apicatura di alcune lettere, come la L di Bellerefons, con lasbarra inferiore obliqua verso il basso,conferma per l’autore una datazione tra III e IV secolo. Ancora, la A di Aurius, con un marcato tratto obliquo che sporge verso destra, trova confronto nell'editto di Diocleziano sui prezzi emesso nel 301 d.C. (Hübner 1885, pag. 387, n. 1097). Infine, in un mosaico proveniente da Sousse si ritrovano i nomi di Cupido ed Aura, attribuiti a due cavalli,resi in maniera molto simile a quelli del mosaico Borghese.
Dalla fine del II secolo d.C. il tema dei munera gladiatoriae delle venationes nelle produzioni musive si concentra in Italia soprattutto in ambito privato, quando i contesti domestici si arricchiscono di decorazioni mirate ad esaltare e autocelebrare il prestigio e le virtutes del dominus. Nel Satyricon di Petronio la casa del liberto Trimalchione si presenta riccamente ornata da affreschi raffiguranti scene gladiatorie già nel I secolo d.C.Le decorazioni musive potevano essere organizzate in raffigurazioni di soggetti isolati posti all’interno di riquadri in composizioni decorative complesse o in rappresentazioni più articolate trattate come un fregio narrativo. Un unico svolgimento a narrazione continua presenta un mosaico in tessere policrome con scene di venationes rinvenuto sul colle Aventino a Roma, pertinente probabilmente alla pavimentazione di una ricca domus risalente al IV secolo d.C. (Blake 1940, p.118, pl. 30).
Dalla via Appia provengono invece due mosaici con una struttura ad emblemata, conservati oggi presso il Museo Archeologico di Madrid. Del primo, portato alla luce nel 1720 all’altezza della chiesetta Quo Vadis, rimangono due quadretti policromi raffiguranti delle quadrighe, mentre le figure di gladiatori sono ricordate esclusivamente da due raffigurazioni pittoriche della collezione Eton. I frammenti dovevano essere pertinenti a un’ampia decorazione pavimentale suddivisa geometricamente in riquadri, che doveva decorare un ambiente di un monumento funerario. Il secondo, del quale ci permangono esclusivamente due emblemata figurati di tessere policrome, doveva decorare le pareti di un ambiente termale di un edificio di notevoli dimensioni scoperto nel 1670 nel cosiddetto orto del Carciofolo, fuori Porta Capena.
Riguardo al mosaico Borghese le esigue informazioni circa il contesto di rinvenimento, ad eccezione della pubblicazione di Luigi Canina, propendono ad inquadrare la realizzazione dell’opera tra il III e il IV secolo d.C., sulla base esclusivamente dei dati stilistici.
Giulia Ciccarello