Il dipinto, firmato e datato “P. Bril 1595”, rappresenta un paesaggio di fantasia ambientato al chiaro di luna, in cui spicca sullo sfondo il tempio della Sibilla di Tivoli, soggetto di grande fascino per i pittori fiamminghi in viaggio in Italia. Il quadretto è stato eseguito a pendant del Paesaggio con approdo (inv. 513), di identiche dimensioni e supporto, con cui condivide la storia collezionistica. La coppia di opere, probabilmente acquisite dal cardinale Scipione Borghese, è documentata per la prima volta nell’inventario del 1693.
Il piccolo dipinto a olio su rame, rappresentante un Paesaggio col tempio della Sibilla, è firmato e datato “P. Bril 1595”. L’iscrizione viene ritenuta autentica già da Paola Della Pergola (1959, p. 148, n. 206), che la giudica perfettamente incorporata alla pittura.
L’opera è documentata per la prima volta nell’inventario Borghese del 1693, dove compare così descritta: “un quadretto in rame con un Paese alto due terzi di palmo del n. 776. Cornice negra di Paolo Brilli”. La corrispondenza di questa citazione con il dipinto in esame è confermata dalla presenza su quest’ultimo del numero 776 richiamato nell’elenco, scritto a pennello sulla sinistra.
Secondo Della Pergola (cit.) l’opera è individuabile nell’inventario del 1790 alla generica voce “due paesi, Paolo Brilli”, catalogata insieme al suo pendant Paesaggio con approdo, di stesse dimensioni e tecnica, anch’esso tuttora in Galleria Borghese (inv. 513). Di nuovo in coppia, ma con l’indicazione di supporto e misure, i due quadretti ritornano nell’elenco fidecommissario del 1833, alla voce: “Due Paesi, in Rame di Paolo Brilli, in rame, larghi oncie 9; alti oncie 6”.
L’attribuzione a Bril, indicata dalla firma e puntualmente ripresa negli inventari, è confermata all’unanimità dalla critica più e meno recente (Piancastelli 1891, p. 384; Venturi 1893, p. 220; Longhi 1828, p. 224; Della Pergola cit.; Pijl 1995, p. 98, n. 28; Cappelletti 2006, p. 220, n. 20) ed anche Anton Mayer (1910, p. 76), che non legge l’iscrizione perché coperta dalla cornice, non mette in dubbio l’autografia dell’opera.
La datazione al 1595 presente sul quadro è ritenuta coerente da un punto di vista stilistico ma precoce rispetto ai primi contatti documentati tra l’artista e Scipione Borghese, risalenti al 1611-1612. L’ingresso in collezione dell’opera e del suo pendant, con modalità tuttora sconosciute, si ritiene quindi successivo alla loro esecuzione, intorno al periodo di quei primi contatti con il cardinale, o anche più tardi, tramite la vendita dei quadri lasciati dall’artista alla sua morte. La coppia, infatti, sia per formato che per tecnica, non sembrerebbe legata ad una specifica commissione (Cappelletti cit., p. 219, n. 19).
Luk Pijl (cit., pp. 98-100, nn. 27-28) ha supposto che i dipinti facessero parte della raccolta del pittore Giuseppe Cesari, detto Cavalier d’Arpino, il quale nel 1607 subì il sequestro dei suoi beni, divenuti poi di proprietà di Scipione Borghese. La carenza di dati nell’inventario del sequestro rende impossibile l’identificazione certa di molti quadri della Galleria provenienti dalla confisca, lasciando aperte diverse possibilità, tuttavia questa ipotesi rimane per il momento priva di riscontri.
La presenza di una replica autografa del pendant Borghese presso il Wallraf Richartz Museum di Colonia (su cui si veda Cappelletti cit., pp. 221-222, nn. 21-22) fa supporre che i due soggetti così abbinati godessero di una certa fortuna, probabilmente apprezzati anche per il suggestivo accostamento di un paesaggio montuoso e una veduta marina.
Nella coppia di Colonia intervengono piccole variazioni, in particolare l’ambientazione del Paesaggio col tempio della Sibilla è diurna, e non notturna come nell’esemplare Borghese, mentre il Paesaggio con approdo è ripreso in controparte rispetto alla versione romana.
Il dipinto qui esaminato rappresenta un paesaggio scosceso, attraversato da un ponte su cui avanzano due personaggi, uno a piedi e uno a cavallo, seguiti da tre cani. Sulla sinistra, in cima ad un’altura, è raffigurato il tempio della Sibilla di Tivoli, soggetto di grande attrazione per i pittori stranieri in viaggio in Italia, ripreso frequentemente nelle loro opere. Bril ritrae il tempio in maniera realistica ma immerso in uno scenario di fantasia di sapore nordico, ambientato al chiaro di luna. Una fitta vegetazione dai toni scuri si sviluppa sui ripidi pendii laterali, oltre i quali il paesaggio roccioso si estende in profondità illuminato dai bagliori della luna, esaltando la maestosità del tempio antico in lontananza.
Pier Ludovico Puddu