Il rilievo è ricordato nel 1700 murato ai lati della porta che immetteva al Casino del Graziano, nel Parco della Villa, in corrispondenza con un secondo, moderno, raffigurante Apollo e Marsia. Nel 1832 compare tra le sculture che decorano il Portico.
La lastra raffigura il mito della fondazione di Roma con i due gemelli, Romolo e Remo, accuditi dalla lupa al cospetto di Faustolo e Acca Larenzia. La scena si svolge lungo le sponde del Tevere, del quale si conserva nell’angolo sinistro un frammento di personificazione. In secondo piano è il ficus ruminalis, l’albero ricordato nelle fonti antiche ai piedi del colle Palatino sotto cui la lupa avrebbe allattato i due bambini.
Nonostante una parte della critica ne abbia messo in dubbio l’autenticità, il rilievo, pur fortemente rimaneggiato, sembra potersi inquadrare nel II secolo d.C.
Collezione Borghese, presente nel Casino del Graziano, nel Parco della Villa, nel 1700 (Montelatici, pp. 104-105); nel 1832 è ricordato nel Portico (Nibby, p. 24, n. 11). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 42, n. 14. Acquisto dello Stato, 1902.
Il rilievo raffigura in primo piano la lupa che, adagiata verso sinistra, accudisce i due gemelli, Romolo e Remo. I piccoli sono assisi al fianco dell’animale che volge affettuosamente il capo verso di loro. In secondo piano, il ficus ruminalis, il mitico albero descritto da Plinio alle pendici del colle Palatino sotto il quale la lupa avrebbe allattato i bambini, conferisce alla scena un’ambientazione agreste. Accanto alla pianta compaiono due figure da identificare, probabilmente, come Faustolo e la moglie Acca Larenzia, i pastori che secondo la tradizione avrebbero allevato i due gemelli. La donna indossa un lungo chitone altocinto e manicato provvisto di un’apoptygma, un risvolto di stoffa, all’altezza dei fianchi. La figura accanto veste una corta tunica annodata in vita che lascia scoperte parte delle gambe e ai piedi calza i degli alti stivali in pelle muniti di un risvolto nella parte terminante superiore. L’uomo si adagia con il corpo ad un’asta che sorregge nella mano destra. Sullo sfondo è una figura maschile vestita con tunica esomide e alti stivali, ritratta in corsa e con il capo rivolto verso la scena. Essa è impegnata in un’azione che la frattura della lastra non permette di identificare. Alla stessa maniera risulta di difficile analisi la personificazione del dio Tevere raffigurata nell’angolo sinistro del rilievo, della quale si conserva parzialmente il vaso da cui fuoriescono i flutti del fiume.
La lastra è ricordata, provvista di una cornice di stucco, nel 1700 dal Montelatici nel Parco della Villa, murata ai lati della porta che immetteva nel Casino del Graziano a pendant con una seconda, moderna, raffigurante Apollo e Marsia (pp. 104-105). Il Nibby, nel 1832, la menziona nel Portico come “uno degli esempli più belli dell’arte romana […] per l’”esecuzione elegante e finita”. L’autore, che ne suppone la pertinenza a un monumento di maggiori dimensioni, interpreta il soggetto in secondo piano come “Caco in atto di atto di trarre a se le vacche per la coda, quale indicazione del monte Aventino” (p. 24, n. 11). Ugualmente il Reinach la illustra come antica (1912, p. 170) mentre avanzano dubbi sull’autenticità il Venturi e il Moreno, il quale la ritiene un’unione moderna di frammenti antichi eterogenei (1893, p. 11; Moreno, Viacava 2003, pp. 93-94, n. 51). La Duliere, osservando le caratteristiche insolite della composizione, la qualità del marmo impiegato e la trattazione delle figure minute, la considera una realizzazione rinascimentale (1979, n. F12, fig. 324). La Calza, infine, la assegna al II secolo d.C., datazione che sembra potersi ritenere verisimile (1957, p. 16, n. 169). Con la fine dell’età repubblicana si diffonde nella tradizione iconografica narrativa la raffigurazione dell’episodio della lupa che allatta i gemelli, rappresentato come soggetto isolato. Si ritrova, infatti, sulla facciata occidentale dell’Ara pacis, dedicata nel 9 a.C., al lato dell’ingresso del recinto. Nella prima età imperiale il motivo si trasforma in un simbolo universale di romanitas entrando nel repertorio figurativo dei monumenti legati alla sfera privata, soprattutto a quella funeraria (Schauenbur 1966, pp. 261-309). Il medesimo schema compositivo del rilievo Borghese si ritrova raffigurato su uno dei lati di un altare conservato al Museo Nazionale Mecenate di Arezzo datato al I secolo d.C. (Bocci Pacini, S. Nocentini Sbolci 1983, pp. 31-33, n. 42).
La scultura si ritrova riprodotta in un calco conservato presso il Museo della Civiltà Romana a Roma (inv. 70: 1982, p. 17, n. 2).
Giulia Ciccarello