Il busto è menzionato nella Palazzina Borghese per la prima volta nel 1840, senza, però, individuazione certa. Si tratta della raffigurazione dell’imperatore Augusto nel cosiddetto tipo Forbes dalla caratteristica pettinatura ordinata sulla fronte. La testa, posta su un busto moderno, mostra notevoli interventi di restauro, mirati a porre rimedio al deterioramento causato probabilmente da un’esposizione esterna. Ritenuta inizialmente dalla critica di dubbia antichità la scultura sembra potersi inquadrare nel I secolo a.C.
Collezione Borghese, ricordato nel Salone della Palazzina nel 1840 nell’Indicazione (p. 9, n. 13). Acquisto dello Stato, 1902.
La testa, impostata su un busto moderno coperto da un paludamentum, è rivolta verso destra. Il volto, glabro, presenta una forma ovale allungata, con ampia fronte leggermente contratta, la bocca chiusa, gli zigomi sporgenti. Le sopracciglia sottili sono leggermente arcuate, gli occhi sono lisci e la palpebra superiore è marcata. Le labbra hanno angoli rivolti leggermente verso l’alto. La pettinatura ha origine dal vortice posto nella zona occipitale della testa, dal quale si dipartono le ciocche dei capelli che si arrestano sulla sommità della fronte. La frangia è organizzata sopra l’occhio sinistro nel caratteristico motivo a forcella e su quello destro nel motivo a tenaglia.
Il ritratto raffigura l’iconografia ufficiale di Augusto del tipo Forbes delineata da un esemplare conservato nei Musei Capitolini (Inv. 495: Sewczyk 2013, p. 163, n. II 14.2). Un confronto pertinente si individua in una scultura analoga presente al Louvre, datata al 27 a.C. (Sewczyk 2013, p. 163, n. II 14.1).
Il busto sembra essere menzionato per la prima volta nella Palazzina Borghese nel salone nell’Indicazione del 1840 come “busto incognito” (p. 9, n. 13) e successivamente con espressione identica dal Nibby (1841, p. 912). Nel 1957 la Calza, per prima, vi riconosce Augusto, ponendolo a confronto con un ritratto proveniente da Ostia, ma avanza dubbi sulla sua antichità (p. 13, n. 113). Della medesima opinione sono Fittschen, Zanker (1985, pp. 7-9), Borschung (1993, p. 198, n.231) e Moreno (Moreno, Viacava 2003, pp. 127-128).
Un esaustivo studio della Ciofetta pone in evidenza gli evidenti segni di deterioramento, confermati anche da indagini conservative, riconducibili probabilmente a un’esposizione prolungata agli agenti esterni. L’autrice osserva, altresì, i forti interventi di restauro, visibili soprattutto nella marcata levigatura della superficie e nelle numerose integrazioni, eseguite probabilmente negli anni ’30 del XIX secolo, in occasione della sistemazione della scultura all’interno delle sale (Ciofetta 2022, pp. 320-322).
In base alle osservazioni stilistiche e ai confronti noti, il ritratto si può inquadrare nel I secolo a.C.
Giulia Ciccarello