L'opera, entrata in collezione Borghese in data incerta, è stata attribuita dalla critica a Girolamo Muziano, nome rimasto invariato fino ai primi decenni del Novecento quando fu rivisto in favore del pittore fiammingo Wenzel Cobergher.
Rappresenta san Girolamo, Padre e Dottore della Chiesa, qui ritratto in preghiera davanti a un crocifisso in compagnia dell'inseparabile leone. Secondo la leggenda, infatti, il nobile eremita, ritiratosi in una grotta per attendere alla traduzione della Bibbia, curò il feroce animale sfilandogli una dolorosa spina dalla zampa.
Salvator Rosa (cm 116 x 88 x 7,8)
(?) Roma, collezione Borghese, 1790 (Inventario 1790, Stanza VII, n. 47); Roma, collezione Borghese, 1833 (Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 16). Acquisto dello Stato, 1902.
La provenienza di questo dipinto è tuttora ignota così come la sua data d'ingresso nella raccolta pinciana. Sebbene, infatti, sia stato riconosciuto dalla critica (Della Pergola 1959) con quel 'San Girolamo, Muziano' così segnalato da Iacomo Manilli nel 1650 nella 'Stanza del Genio' (Manilli 1650), la descrizione di quest'ultima opera data dell'estensore dell'inventario del 1633 ca. (Corradini 1998) non corrisponde affatto alla composizione in esame: si legge, infatti, nel medesimo ambiente di un 'san Girolamo seduto con il crocifisso in mano [...] alto palmi 5 3/4 largo 4 1/4' (Inv. 1633 ca.) che chiaramente risulta diverso sia per la scelta del momento rappresentato sia per le sue maggiori dimensioni.
Scartata dunque tale ipotesi, non resta che spostarne l'ingresso nella collezione capitolina in un momento leggermente successivo, verosimilmente tra la fine del Settecento e il 1833 quando l'opera è sicuramente riconoscibile con quella elencata nel verbale fidecommissario ottocentesco (Inv. Fid. 1833). Che possa invece trattarsi di quel 'San Girolamo, Muziano' elencato nel 1790 tra i beni di casa Borghese (Inv. 1790) è difficile però a dirsi poiché la sua generica descrizione ben si adatta sia al quadro segnalato negli inventari seicenteschi sia a quello registrato poco dopo nell'Ottocento.
Assegnato a Girolamo Muziano (Inv. Fid. 1833; Piancastelli 1891; Venturi 1893), fu Roberto Longhi il primo ad accostarlo al pittore fiammingo Wenzel Cobergher ("Non del Muziano, ma di un manierista difficilmente determinabile, forse fiammingo; qualche rapporto con Venceslao Coebergher"; Longhi 1928), parere confermato da tutta la critica (Da Como 1930; Della Pergola 1959; Herrmann Fiore 2006) ma di recente messo in discussione da Patrizia Tosini (Tosini 2008). La studiosa, infatti, partendo da una versione del dipinto, di autore anonimo e di dimensioni maggiori, conservata presso la Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma, ha proposto di riconoscervi la stessa mano, artefice di un ennesimo San Girolamo penitente transitato diversi anni fa sul mercato antiquario (Eidem, cit.).
Di certo, come espresso da molti studiosi (I. Faldi in Della Pergola 1959; Canatalamessa 1912; Della Pergola 1959), il San Girolamo Borghese mostra diversi tratti in comune con le figure di Bartholomäus Spranger, in particolare con l'impostazione e l'imponenza del suo San Giovanni eseguito per la chiesa romana di San Giovanni in Oleo, nonché con le pose scultoree di alcuni suoi eroi, tinti di una fredda sensualità. Questa maniera, comune a molti artisti presenti a Roma nella seconda metà del XVI secolo, fu di fatto una prerogativa di Cobergher, documentato nell'Urbe nel 1598-99 e nel 1603 - rispettivamente dopo un fruttuoso soggiorno napoletano e poco prima della sua partenza per la corte dell'arciduca Alberto VII d'Asburgo e di sua moglie Isabella Clara Eugenia - anni in cui la critica ha ancorato l'esecuzione di questo quadro.
Antonio Iommelli