L’opera, segnalata in collezione Borghese a partire dal 1790, risulta una copia parziale, limitata alla sola figura di Maria con il piccolo Gesù, della monumentale pala che Federico Zuccari eseguì nel 1603 per il monastero di Santa Caterina di Sant’Angelo in Vado. L'autore, erroneamente identificato in passato con Santi di Tito, è da ricercarsi tra i seguaci del pittore marchigiano.
Cornice ottocentesca con quattro palmette angolari (cm 46,5 x 41 x 7)
Roma, collezione Borghese, 1790 (Inventario 1790, Stanza X, n. 32; Della Pergola 1959); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 39. Acquisto dello Stato, 1902.
Il dipinto, dalla provenienza sconosciuta, è citato per la prima volta nella raccolta Borghese nel 1790, inventariato come opera di Benvenuto Tisi detto il Garofalo, nome ripreso nel Fidecommisso del 1833 e nelle schede di Giovanni Piancastelli (1891). Tale attribuzione, rivista da Gustavo Frizzoni e Corrado Ricci in favore di Luca Longhi - notizia desumibile dalle Note manoscritte di Giulio Cantalamessa (1912) - fu scartata da Roberto Longhi (1928) che propose di attribuire la teletta a Santi di Tito, parere accettato unanimemente da tutta la critica (De Rinaldis 1948; Della Pergola 1959; Collareta 1977; Forlani Tempesta 1980), ad eccezione di Günther Arnolds (1934). Nel 2006, allontanandosi dal giudizio longhiano, Kristina Herrmann Fiore ha pubblicato il dipinto come 'maniera di Federico Zuccari', essendo l'opera con tutta evidenza una copia, limitata alla sola figura della Vergine e del Bambino, della nota pala di Sant'Angelo in Vado, eseguita dallo Zuccari nel 1603 per il monastero di Santa Caterina.
Antonio Iommelli