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San Pietro (san Simone)

Attribuito a Pino Marco

(Siena 1517-22 - Napoli post 1579)

Il dipinto costituisce il pendant del san Paolo (inv. 37). La visione dal basso e la specularità delle due figure, su sfondo dorato, ha da tempo indotto a riconoscerle come parti di un unico complesso. Individuandone una diversità nello stile furono attribuiti a mani diverse, nell’ambito della scuola michelangiolesca; l'attribuzione di questo apostolo a Marco Pino, pittore senese, è concordemente accolta dalla critica. La mancanza di attributi ha portato al riconoscimento dei due apostoli, unicamente per il loro aspetto fisico, con Pietro e Paolo. Più recentemente, proponendo la loro identificazione con parti della decorazione della distrutta cappella del SS. Sacramento a S. Pietro in Vaticano, sono stati riconosciuti come Simone e Giuda Taddeo, primi titolari di quell’altare.


Scheda tecnica

Inventario
046
Posizione
Datazione
1569 ca.
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm 136 x 77,5
Provenienza

Collezione Borghese, citato in inv. 1610 (Francesco Borghese); inv. 1619 (Giovanni Battista Borghese); inv. 1693, Stanza II n. 15; inv. 1700, Stanza I, n. 4; inv. 1790, Stanza Il, n. 4; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 10. Acquisto dello Stato, 1902.

Conservazione e Diagnostica
  • 1903-05 Luigi Bartolucci (disinfestazione) 1958 Alvaro Esposti

Scheda

Il dipinto raffigura un santo dalla lunga barba bianca in preghiera, seduto in contrapposto su una nuvola a sua volta sospesa contro un fondo d’oro. Pur essendo molto curato l’abbigliamento, dai colori vivaci, cangianti e insoliti, come il manto sfrangiato dall’arancio violento, non vi è nessuna traccia di attributi di riconoscimento. Esiste un pendant in Galleria del quadro, inv. 37, in cui è rappresentato un altro santo ritenuto San Paolo, o anche dalla bibliografia più recente san Giuda Taddeo, con cui condivide anche la storia della provenienza.

Entrambi compaiono nelle collezioni Borghese fin dal 1610 nell’Inventario del credito di Gio[vanni] Batt[ist]a Borghese e nell’Inventario delle Robe che stanno al servitio dell’Ecc.mo Sig.r Francesco Borghese, dove sono rispettivamente elencati come un «Quadro in tela con San Paolo senza cornice» e un «Quadro in tela con San Pietro senza cornice». Questa documentazione attesta il passaggio delle due opere a Francesco Borghese dopo la morte del fratello Giovanni Battista nel 1609: entrambi erano fratelli di Camillo, divenuto papa nel 1605 con il nome di Paolo V e regnante fino al 1621. Nel 1657 fu invece il medico e intendente d’arte forlivese Francesco Scannelli a ricordare nelle stanze del Palazzo Borghese «alcuni profeti dipinti di natural grandezza con lo studio ed intelligenza estrema», suggerendo che fossero opera di Michelangelo Buonarroti. Ancora, nell’inventario borghesiano del 1693, relativo al Palazzo di Campo Marzio dove era stata spostata la collezione, ricompaiono «un quadro grande di sei e tre di un Santo a sedere sopra le nuvole in tela tutta dorata con cornice intagliata e dorata del N. 314. Incerto» e «un quadro in tela dorata di un Santo che siede sopra una nuvola del N. 314 con cornice dorata intagliata. Incerto». Il fatto che le due tele fossero ritenute una coppia è confermato dall’indicazione per entrambe di un unico numero di riferimento, il 314, che a metà del Novecento ancora compariva in basso a sinistra su ambedue.

Nei successivi inventari del secolo XVIII si allude, in quello del 1700, a «Li due apostoli di Michelangelo Buonarroti», e nel successivo, del 1790, a «due apostoli in campo d’oro, [di] Michelangelo Buonarroti», attribuzione confermata anche nelle liste del Fidecommesso del 1833 e mantenuta valida fino alle schede compilate nel 1891 da Giovanni Piancastelli, primo direttore della Galleria Borghese. Adolfo Venturi considerò invece i dipinti opere di scuola bolognese, non tralasciando comunque di ribadirne l’evidente ascendenza michelangiolesca, mentre Giulio Cantalamessa tornò più tardi a ritenerli pertinenti alla scuola di Michelangelo, smentendone tuttavia il rimando – in effetti insostenibile – all’area felsinea. Fu proprio quest’ultimo studioso a suggerire inoltre, per la prima volta, la possibile spettanza delle due tele a mani di artisti diversi, considerando il San Pietro qualitativamente superiore al San Paolo. Il giudizio sulla diversa autografia ritornò anche nelle considerazioni dello storico dell’arte Roberto Longhi, che considerò il San Paolo più prossimo ai modi di Daniele da Volterra e il San Pietro più vicino a Perin del Vaga e al primo periodo di Girolamo Siciolante da Sermoneta, avanzando anche un’ipotesi circa la possibile concezione delle tele come modelli da tradurre in mosaico. A questo filone si ricollegò poi Federico Zeri, proponendo di interpretare i quadri come sportelli di un organo atti a simulare un finto mosaico ed eseguiti da mani diverse. Paola della Pergola (1959) non si spinse oltre l’attribuzione a un «maestro romano della corrente michelangiolesca», mentre si deve a Evelina Borea l’intuizione di assegnare il San Pietro a Marco Pino, alla luce del confronto con l’apostolo in primo piano a sinistra nell’Assunta napoletana dei SS. Severino e Sossio, datandolo per questo agli inizi del sesto decennio. Tale riconoscimento è stato accolto e confermato dagli studi successivi.

I due pendant, in cui entrambe le figure sono rivolte con lo sguardo e la postura verso un elemento centrale mancante, fanno pensare che potessero essere in origine parti di un polittico smembrato, simile a quello di Vallo della Lucania, firmato e datato da Pino nel 1577. A conferma, i due santi sono collocati su nuvole in una posizione scorciata, con quella piccola sproporzione tra testa e corpo monumentale motivata dalla posizione elevata in cui dovevano essere collocati in origine.

Del tutto convincente e risolutiva è stata la ricostruzione offerta da Barbara Agosti, che sulla base di alcune schiaccianti tracce documentarie ha proposto di identificare le due tele come parti della smembrata decorazione messa in opera tra il 1543 e il 1545 da Perino del Vaga e aiuti per la cappella del SS. Sacramento, fatta riallestire da papa Paolo III all’interno della Basilica di San Pietro. Nel corso del successivo smantellamento dell’antica Basilica vaticana nel 1605, Giacomo Grimaldi si soffermò a descrivere la cappella, appuntando, sul disegno che la riproduceva, anche alcune informazioni sul destino delle sue componenti: «in demolitione habuit Card. Farnesius cum imaginibus eorundem Apostolorum manu eiusdem pictoris [cioè di Perino], quas habuit Card. Burghesius a Capitolo dicte Basilicae». I due apostoli a cui si fa riferimento, identificati dalla studiosa con le tele qui in esame, si sarebbero dovuti trovare ai lati del tabernacolo eucaristico, verso il quale rivolgono infatti l’attenzione; essi, inoltre, per lei dovevano più verosimilmente essere, anziché Pietro e Paolo, i santi Simone e Giuda Taddeo, sepolti nel sacello e primi titolari di quell’altare.

Il presunto San Pietro, alias San Simone, avvolto in un grande mantello di un arancio fiammeggiante dai bordi sfrangiati, dettaglio quest’ultimo che ricorre in altre opere eseguite da Marco Pino soprattutto attorno al settimo decennio, conferma l’attribuzione già ipotizzata in prima istanza dalla Borea; anche le attribuzioni all’ambito michelangiolesco rafforzano l’ipotesi dell’autografia dell’artista senese epigono movimentato del Buonarroti.

 

Lucia Calzona




Bibliografia
  • F. Scannelli, Il microcosmo della pittura, Cesena, per il Neri, 1657, p. 140.
  • G. Piancastelli, Catalogo dei quadri della Galleria Borghese, in Archivio Galleria Borghese, 1891, p.228
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, pp.53, 57.
  • G. Cantalamessa, Note manoscritte al Catalogo di A. Venturi del 1893, Arch. Gall. Borghese, 1911-1912, nn. 37, 46.
  • R. Longhi, Precisioni nelle Gallerie Italiane, I, La R. Galleria Borghese, Roma 1928, pp. 180-1.
  • P. Della Pergola, Galleria Borghese. I dipinti, 2 voll., Roma 1955-1959, II, 1959, p. 99.
  • E. Borea, Grazia e furia in Marco Pino, in “Paragone”, 13, 151, 1962, pp. 24-52.
  • P. Della Pergola, L’inventario Borghese del 1693, «Arte antica e moderna», 1964, pp. 219-230, in part. p. 223, nn. 63 e 74; p. 100 (riportante parere orale di F. Zeri).
  • T. Pugliatti, Giulio Mazzoni e la decorazione a Roma nella cerchia di Daniele da Volterra, Roma 1984, p.59.
  • R. Bartalini in Da Sodoma a Marco Pino, catalogo della mostra (Siena, Palazzo Chigi Saracini 1988) a cura di F. Sricchia Santoro, Firenze 1988, p.190.
  • P.L. Leone De Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1540- 1573 Fasto e devozione, Napoli 1996, p.198.
  • A. Zezza, Marco Pino: l’opera completa, Napoli 2003, pp.280-281, sch. A.75.
  • B. Agosti, Novità su Perino del Vaga e la decorazione della Cappella del Sacramento in “Bollettino d’arte”, 101, 30, 2016 (2017) pp.71-80.
  • L. Calzona, Tre quadri di Marco Pino in Galleria Borghese, in L. Calzona, G. Daniele, F. Parrilla, Sulle tracce di Michelangelo. Marco Pino, Pellegrino Tibaldi, Marcello Venusti, Roma 2023, pp. 20-29.