La tela è stata riferita a Cariani solo alla fine dell'Ottocento. L'opera è stata probabilmente eseguita nel secondo decennio del Cinquecento, dimostrandosi riecheggiati gli spunti da Bellini e Tiziano, rispettivamente nell'impaginazione della scena e nella figura della Vergine. La composizione è animata dalla figura vivace del Bambino attratto dal cardellino, raffigurato in volo alla sinistra di Maria: questo uccellino, per la macchia rossa sulla testa, è riconosciuto come simbolo della Passione. Le due pere, classificabili come pomi, alludono al peccato originale, da cui l'umanità è salvata.
Roma, Collezione Borghese, registrato nell’Inventario 1693, Stanza V, n. 29; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 14. Acquisto dello Stato, 1902.
La prima menzione documentale dell’opera è quella nell’Inventario del 1693, in cui è ricordato «Un quadro di tre palmi in tela la Madonna, il Bambino e S. Pietro del n. 98 con cornice dorata del Palma il Vecchio» (Inv. 1693, St.V, n. 29). Nel Fidecommisso del 1833 l’opera è registrata sotto il nome di Giovanni Bellini. Si deve a Joseph Archer Crowe e a Giovan Battista Cavalcaselle e indipendentemente a Otto Mündler, la prima ascrizione della tavola alla mano di Giovanni Cariani. Attribuzione poi condivisa Venturi, Berenson e Longhi. In particolare Crowe e Cavalcaselle hanno dimostrato la vicinanza stilistica e compositiva della tavola di Cariani con il lavoro di Palma il Vecchio e Lorenzo Lotto. In particolare, dagli studiosi è sottolineata la vicinanza della figura della Vergine con la forma dei visi nella pittura di Palma il Vecchio e la ripresa del colore di Lotto per gli abiti: solo alcuni dei modelli figurativi di Cariani degli inizi del Cinquecento (Crowe-Cavalcaselle 1871, vol. 2, p. 547).
Diversi i pareri circa la datazione della tela. Opinione di Baldass, condivisa da Della Pergola (Della Pergola 1955, I, p. 109, n. 196), è quella di ritenere il dipinto eseguito nella prima fase di produzione dell’artista, attraverso soprattutto l’accostamento alla Madonna con Bambino e S. Sebastiano del Louvre e alla Sacra Conversazione dell’Accademia di Venezia (Baldass 1921, p. 91). Alessandro Ballarin colloca il dipinto nei primi anni di attività dell’artista, intorno al 1515 (Ballarin 1968, p. 244). Baldass inoltre fu il primo a sottolineare le affinità stilistiche tra il dipinto in collezione e la Sacra Famiglia con San Sebastiano e Santa Caterina di Sebastiano del Piombo (Baldass 1929, p. 91). Ulteriori vicinanze sono state riscontrate con la Sant’Agata di Edimburgo, la cui datazione è fissata intorno al 1510. L’insolita posizione delle gambe rivela un più stringente riferimento a quella del Cristo della Pala di San Zaccaria di Giovanni Bellini, datata 1505. Modello quest’ultimo ampiamente imitato e copiato nel decennio successivo. La figura del Bambino attratto dal cardellino, raffigurato in volo alla sinistra di Maria, contribuisce a rendere vivace la composizione. Soluzione esemplificata da Dürer nella Madonna del Cardellino (Musei di Berlino) dipinta a Venezia nel 1506, ma ancor più accentuata nella Madonna delle ciliegie di Tiziano del 1515 circa (Vienna Kunsthistorisches Museum). Da quest’ultima sembra derivare anche il ruolo straordinario riservato al davanzale marmoreo, motivo che separa e presenta la scena al cospetto dell’osservatore e al contempo allude al sepolcro di Cristo. Elemento, infine, che distingue l’opera da quella di più ampio respiro dell’Accademia Carrara di Bergamo.
Per una collocazione alla metà del terzo decennio del secolo, vedendovi così una maggiore influenza dell’opera di Palma il Vecchio, è la posizione di Troche (Troche 1932, p. 1-7), poi ripresa da Martini nel 1978 (Martini 1978, p. 68). Diversamente Anna Coliva e considera il dipinto dei primi anni Venti del Cinquecento (Coliva 1994, p. 54, n. 18). Pallucchini spostava la dazione agli ultimi anni Venti del Secolo (1528-1530), facendoli coincidere così con gli ultimi anni del Cariani a Bergamo, vedendovi quindi un maggiore riferimento alla pittura di Tiziano e Sebastiano del Piombo. Opinione quest’ultima condivisa da Kristina Herrmann Fiore, secondo cui, oltre a questi, vi sarebbe stata anche l’osservazione della pittura di Dürer (Herrmann Fiore 2001, n. V. 38).
Fabrizio Carinci