L’opera può essere identificata con la tela segnalata nell’inventario del sequestro del Cavalier d’Arpino eseguito dai fiscali di Paolo V nel 1607. La tela, probabilmente dipinta su influenza del cardinale Gabriele Paleotti, autore a Bologna del Discorso intorno alle immagini sacre e profane, riveste un particolare interesse iconografico per il trattamento del tema del rosario e dell’adorazione del Crocifisso, qui stretti tra le mani di Francesco d'Assisi insieme a un teschio, simbolo di vanitas legato al memento mori.
Indicata genericamente come opera dei Carracci in tutti gli inventari settecenteschi della Galleria, questa tela è stata identificata con il "quadretto mezzano di S. Francesco con un Christo in tela", appartenuta al Cavalier d'Arpino e da questi sequestrata dai fiscali di Paolo V nel 1607. Avvicinata dall'estensore dell'inventario del 1790 a Ludovico Carracci e considerata da Roberto Longhi (1928) un prodotto di bottega eseguito dopo il 1600, quest'opera fu pubblicata nel catalogo dei dipinti della Galleria Borghese da Paola della Pergola (1955) con il riferimento ad Annibale Carracci, attribuzione riesumata dalla studiosa dagli elenchi fidecommissari del 1833. Tale nome è stato confermato in maniera decisiva da Donald Posner (1979) che ha datato il dipinto al 1585-1586, riscontrando diverse affinità stilistiche con altre opere del bolognese, in particolare con la figura di Francesco dipinta nel Battesimo di Cristo (Bologna, San Gregorio), il San Francesco dei Musei Capitolini e con il Ritratto di Giacomo Filippo Turrini (Oxford, Christ Churh).
Una versione simile, indicata come scuola emiliana, si conserva a Napoli presso il Museo di Capodimonte (inv. 84128) mentre una copia del dipinto, già in collezione Yarborough e assegnata ad Annibale, fu venduta all'asta nel 1929 da Christie's (cfr. Posner 1979, p. 15).
Antonio Iommelli