Il dipinto faceva parte dei beni del cardinal Salviati ereditati da Olimpia Aldobrandini, successivamente pervenuti nella Collezione in seguito al suo matrimonio con Paolo Borghese. Nella piccola tavola, di probabile destinazione privata, si fondono i diversi apporti stilistici e culturali presenti nella produzione del Garofalo. La struttura compositiva del dipinto è infatti molto simile, anche per l'atteggiamento delle figure, a elementi raffaelleschi. Tuttavia si riscontrano riferimenti anche all'ambiente veneto e a quello ferrarese, oltre ai pronunciati richiami al Dosso, riscontrabili nella drammaticità espressiva dei due apostoli e nei preziosismi coloristici.
Roma, cardinale Pietro Aldobrandini, Inventario 1603, n. 55; Meldola, cardinale Pietro Aldobrandini, 1612 (Della Pergola 1962, Costamagna 2000); Roma, Olimpia Aldobrandini junior, 1682, n. 320; Collezione Borghese, Inventario 1790, Stanza I, n. 35; Inventario Fidecommissario Borghese Borghese 1833, p. 6, n. 4. Acquisto dello Stato, 1902.
La piccola tavola è senza dubbio di provenienza Aldobrandini. Oltre a recenti studi che ne hanno chiarito un passaggio per Meldola (Costamagna 2000), data la sua presenza in un inventario precedentemente collegato alle eredità Salviati ma che si è dimostrato invece del cardinale Pietro, nel supporto sul retro è stato rinvenuto il numero corrispondente all’opera relativo all’elenco di beni e la scritta “Benve”, riconducibile chiaramente all’identità del pittore (Tarissi de Jacobis 2002).
Il dipinto in collezione Borghese si configura come il terzo gradino dell’evoluzione garofalesca della raffigurazione della Madonna in trono con Bambino, preceduta dalla pala di Argenta (Museo civico di Argenta, 1513) e dalla pala per la chiesa ferrarese di San Guglielmo (National Gallery, Londra, inv. NG671, documentata al 1517), che sembra essere più prossima al dipinto romano e che dunque ne determina la datazione (Mazzariol 1960; V. Romani in Ballarin 1994-1995). Le caratteristiche di quest’opera coincidono con quanto il Tisi ha potuto osservare, studiare ed apprendere nel panorama pittorico della Ferrara della sua formazione: risultano, infatti, determinanti i lavori di artisti come Boccaccio Boccaccino, Andrea Mantegna e Lorenzo Costa per la creazione di un immaginario figurativo al contempo tradizionale e cortigiano mediato dall’eccentricità di Dosso e strutturato, nella composizione e nella morbidezza di alcuni passaggi pittorici, secondo il classicismo di Raffaello e dei suoi epigoni bolognesi (Fioravanti Baraldi 1993).
L’opera è dominata da una madonna in trono, dal viso incorniciato da un candido velo bianco e con lo sguardo abbassato e timoroso, con in braccio un vivace Bambino Gesù, che si stacca vivace mentre gioca con le chiavi offerte a San Pietro rispetto al blocco saldo e sicuro rappresentato nella composizione dalla madre assisa sul seggio regale. I due apostoli di Roma, riconoscibili dai loro attributi tradizionali, rappresentano le figure mediatrici attraverso le quali lo spettatore può accedere alla Sacra Conversazione, in particolare per quanto riguarda San Paolo che, con lo sguardo rivolto verso l’osservatore e il dito che indica la Vergine, ci introduce ai misteri mariani e alla divinità di Cristo. In questo modus operandi, il Garofalo rientra a pieno titolo nella tradizione figurativa cortese estense, dove sguardi e gesti sono capaci di mettere in circolo, all’interno delle composizioni pittoriche, i messaggi fondamentali della politica e della religione del tempo.
Lara Scanu