Il sarcofago è riprodotto agli inizi del Cinquecento nel portico di San Pietro in due disegni di Amico Aspertini e Giulio Romano. Nella Palazzina Borghese è attestato per la prima volta nel 1832 nella sua attuale collocazione, il Portico. Si tratta di un monumento funebre decorato sulla fronte dalla raffigurazione di un conflitto tra Romani e Barbari che trova riscontro in una serie di sarcofagi “di battaglia” noti.
La scena, che si svolge su diversi piani prospettici, è definita ai lati da due trofei e due coppie di barbari. I soldati romani muniti di corazza sono raffigurati in assalto in groppa ciascuno al proprio cavallo mentre i barbari, nudi o con tunica e bracae, sono morenti o in fuga.
La scultura è da porre in relazione con i rilievi che decorano la colonna di Marco Aurelio o, al più tardi, con quelli dell’arco di Settimio Severo come proposto dal Nibby, e inquadrabile quindi alla fine del II secolo d.C.
Testimoniato a San Pietro agli inizi del Cinquecento (Schweikhart 1986, pp. 35, 75, figg. 14, 79); Collezione Lante fino al 1828, poi Borghese (Moreno, Sforzini 1987, p. 363); nella Palazzina Borghese è citato per la prima volta dal Nibby nel Portico nel 1832 (pp. 22-24); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 41, n. 6. Acquisto dello Stato, 1902.
Il sarcofago presenta sulla fronte la rappresentazione di una battaglia tra Romani e barbari inquadrata da trofei e da due coppie di barbari abbigliati in maniera analoga e di simile atteggiamento. La figura maschile della coppia di sinistra ha il braccio destro piegato sul petto e il sinistro leggermente flesso in avanti mentre quella del lato opposto presenta le mani incrociate sul ventre. Entrambe le figure vestono una tunica con bracae, pantaloni larghi e morbidi, e il sagum, il mantello di origine gallica. Ai piedi calzano le caligae, formate da strisce di cuoio intrecciate, che si conservano solo nella figura di sinistra. Le donne a fianco hanno capelli lunghi e inanellati, trattenuti sul capo da una tenia e si rivolgono al proprio compagno. Indossano una lunga tunica altocinta fermata anche sui fianchi e un mantello trattenuto da una fibula a forma di fiore sul petto. La donna di sinistra ha le braccia distese sul davanti e le mani incrociate sul ventre, quella di destra, priva del braccio destro, porta il sinistro al petto. Sul suolo tra le due figure è adagiato un elmo decorato e provvisto di un corto cimiero.
I trofei, posti su due fasci di quattro lance, sono composti da pali incrociati e rivestiti di tunica e armi. In particolare, gli scudi circolari sulle figure sono decorati da una testa di gorgone a sbalzo, in quello di sinistra inscritta in un ottagono curvilineo, in quello di destra inserita in una composizione di girali vegetali.
La scena diparte dalla figura centrale del generale a cavallo, coperto da una pelle ferina, attorno al quale si dispongono i personaggi. Egli indossa una corazza anatomica munita di spallacci e decorata con file di pteryges e motivi istoriati. Al collo è fermato il mantello che, mosso dal vento, compie una velificatio. Il braccio destro, che non si conserva, doveva originariamente essere sollevato. Il medesimo abbigliamento, in una variante più semplice, è indossato da due soldati romani appiedati. Uno disposto al fianco del condottiero, l’altro posto in primo piano e ripreso nell’atto di trattenere un barbaro per i capelli. Dietro al mantello del condottiero e in parte coperta da esso è la figura di un soldato romano a cavallo con corazza squamata e focale, una fascia di stoffa protettiva posta intorno al collo. In alto a sinistra, al margine della composizione, è raffigurato un cavaliere con elmo provvisto di visiera, paraguancia, paranuca e di un piccolo cimiero a forma di ventaglio e decorato a voluta. Il soldato è ritratto nell’atto di brandire il gladio contro due barbari a cavallo intenti a cercare la fuga, rivolti con lo sguardo terrorizzato verso l’assalitore. Il primo indossa una tunica manicata con sopra il sagum, il mantello, trattenuto sulla spalla destra da una fibula circolare, il secondo una tunica con maniche lunghe. Proseguendo sul margine della scena, in alto a destra è ritratto un cavaliere al centro di due insegne, una raffigurante un’aquila ad ali spiegate, l’altra uno stendardo di stoffa. Ai lati due soldati romani a cavallo irrompono nella scena, quello di sinistra riccamente abbigliato, con lorica squamata, focale, le bracae, il balteo, quello di destra con semplice chitone. Al di sotto delle zampe di ciascun animale appare il corpo di un barbaro ferito. Al cavaliere di sinistra si oppone la figura di un barbaro di spalle, stante, vestito di una corta tunica e bracae, con in mano uno scudo esagonale decorato da girali vegetali. Un barbaro in primo piano, inginocchiato al suolo, si difende dall’attacco dell’imperator con uno scudo ornato da grifi. Di seguito, al suolo, sono adagiate le figure di diversi barbari ritratti nell’atto di soccombere.
Il sarcofago è testimoniato agli inizi del Cinquecento nel Portico di San Pietro, dove lo riproducono Amico Aspertini tra il 1500 e il 1503 e Giulio Romano nel 1515 (Schweikhart 1986, pp. 35, 75, figg. 14, 79). Nel 1828 la scultura compare tra i beni dell’eredità Lante assegnati a Camillo Borghese (Moreno, Sforzini 1987, p. 363). Il Nibby, che lo ricorda collocato nel Portico della Villa nel 1832, individua una somiglianza con i rilievi dell’arco di Settimio Severo nel Foro Romano e ipotizza che la scultura possa avere ospitato la deposizione di un militare, partecipe delle campagne di quegli anni, legato a tale imperatore (pp. 22-24). Il Reinach, che compie una esaustiva disamina dei sarcofagi di battaglia tra barbari e romani, pone il sarcofago Borghese a confronto con quello di Ammendola dalla composizione analoga (1889, p. 329). Il Rodenwaldt nel 1935 considera la scultura Borghese una espressione matura, da inquadrare durante le campagne belliche di Marco Aurelio, della serie di rappresentazioni di battaglia ispirate a pitture trionfali (p. 26). Lo stesso autore in uno studio successivo sull’evoluzione dell’arte romana del III secolo d.C. ritiene di poter attribuire la scultura Borghese all’età severiana (1936, p. 90, n. 7). L’Hamberg, al quale si può assegnare una prima disamina della composizione, sottolinea il crudo realismo degli scontri e la contrapposizione tra lo schieramento romano disciplinato e composto e i barbari privi di controllo e dalle ardenti passioni. L’autore ritiene il sarcofago Borghese inquadrabile nel II secolo d.C., datazione condivisa anche dall’Andreae (1945, pp. 179-181; 1956, pp. 16, 31-32). Lo Schäfer, che dedica un ampio studio al rilievo, lo inserisce nel gruppo Massenkampfsarkophage datato agli inizi del III secolo d.C. e riconosce nella composizione della scena bellica una situazione irreale o immaginabile, non identificabile in un evento storico. Si discosta, inoltre, dal pensiero dell’Andreae che individuava nel generale il personaggio principale e lo identifica invece con il cavaliere esattamente contrapposto. Tale figura, di cui non si conservano la testa e il braccio destro, indossa un’armatura a squame senza pteryges, un mantello adagiato sulla spalla e le bracae. Ai piedi calza le caligae. L’autore osserva, altresì, di fronte alla figura individuata come raffigurazione del defunto, la presenza di un elmo di notevoli dimensioni, ornato a tre steli con corna piatte di ariete, nel quale riconosce l’aretè, la Virtus del soggetto. L’iconografia dell’elmo portato da un servitore si riscontra in numerosi altri rilievi tra i quali il sarcofago di battaglia della Collezione Pamphili, nel quale è la personificazione della stessa Virtus a sorreggere l’elmo del generale (1979, pp. 355-382).
Uno schema compositivo simile a quello Borghese si presenta raffigurato in una serie di sarcofagi di soggetto analogo e stilisticamente affini, tra i quali si possono ricordare quello cosiddetto di Portonaccio, oggi al Museo Nazionale Romano, e un secondo conservato nella Collezione Pamphili, entrambi ispirati ai rilievi della Colonna di Marco Aurelio, legata al programma celebrativo decretato in onore dell’imperatore defunto, e inquadrabili nella fine II secolo d.C., periodo al quale si può far risalire il rilievo Borghese (Musso 1985, p. 186; Calza 1977, pp. 201-203).
Giulia Ciccarello