Il rilievo è pertinente alla fronte di un sarcofago raffigurante il mito di Adone, della quale si conserva solo la parte sinistra. È menzionato nel 1808 presso “l’orto di agrumi” della Villa; nel 1832 nella sala VIII e infine, nel 1854, nella sua attuale collocazione nel Portico.
Ovidio narra, nelle Metamorfosi, l’amore tra Venere e il giovane Adone, ferito mortalmente da un cinghiale durante una battuta di caccia.
La narrazione, che si articola in diversi momenti, è stata interpretata con un andamento da sinistra verso destra dal Nibby, nel 1832, mentre è stata letta nel verso contrario, da destra verso sinistra, per primo dal Robert nel 1897. Risulta completamente mancante la figura del cinghiale che doveva, probabilmente, essere rappresentata nella parte destra del rilievo. Il soggetto si ritrova ampiamente diffuso nell’arte romana nelle decorazioni pittoriche parietali e, dal II secolo d.C., anche nella produzione di sarcofagi, attestato da numerose repliche.
Gli studi convergono nel ritenere verisimile una collocazione in età Antoniniana.
Collezione Borghese, citato per la prima volta dallo Zoega nel 1808, “nel orto degli agrumi a Levante” (App. Fol. 246); all’interno della Villa dal Nibby nella sala VIII (1832, p. 132, n. 8). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 54, n. 183. Acquisto dello Stato, 1902.
“Muore, o Citerea, il delicato Adone: che faremo?
Battetevi il petto, o fanciulle, e laceratevi la tunica.”
(Saffo, fr. 140)
Il rilievo è ricordato dallo Zoega, nel 1808, “nel orto degli agrumi a Levante” (App. Fol. 246); successivamente, nel 1832, dal Nibby, che lo registra murato nella sala VIII della Villa (p. 132, n. 8) e infine nel Portico nel 1854 (Indicazione, p. 7, n. 25).
Si tratta della metà sinistra della fronte di un sarcofago raffigurante il mito di Adone, il giovane principe di Pafo, amato da Venere. Ovidio narra che Eros, dal carattere dispettoso, punse con una delle sue frecce il petto della madre Venere facendola innamorare perdutamente di Adone. La passione del giovane per la caccia preoccupava Venere, che temeva l’incontro con bestie feroci. I timori della dea trovarono puntuale conferma: l’amato, nonostante gli imploranti avvertimenti, si recò a caccia con dei compagni, dove, ferito da un cinghiale, trovò la morte. Venere “come dall’alto etere lo scorse esanime, con il corpo che si dibatteva nel suo sangue, balzò giù e parimenti il seno e i capelli si straziò e si percosse il petto con le mani non adatte a questo gesto”. L’autore ricorda inoltre che “dal sangue, col color medesimo, nacque un fiore”, l’anemone (Ovidio, Metamorfosi, X, vv. 519-552, 708-739).
Secondo il Nibby la scena riprodurrebbe due momenti differenti: a sinistra, un colloquio amoroso tra la dea e il fanciullo alla presenza del fedele cane e del piccolo Eros e, a destra, il tragico epilogo della caccia con il giovane ferito, circondato dai suoi compagni. Il Robert nel 1897 propende invece per una lettura da destra verso sinistra, supponendo tre momenti: la prima scena, l’attacco del cinghiale, sarebbe smarrita; la seguente, quella centrale, rappresenterebbe il giovane ferito, circondato dai compagni, e l’ultima la dea accostata al giovane morente (pp. 11-12, n. 9, tav. II, 9). Tale interpretazione è condivisa dal Grassinger che puntualizza come all’interno di ciascun episodio, a sé indipendente, l’azione abbia inizio da sinistra (1999, pp. 71-72).
Sulla sinistra è raffigurata Venere seduta su una roccia sotto un parapetasma, un lungo telo di stoffa appeso. La dea indossa un chitone altocinto e sopra un himation, il mantello, raccolto in morbide pieghe sul grembo. È ritratta nell’atto di accarezzare con la mano destra sollevata il volto di Adone. Il gesto tradisce una preoccupata attenzione per il giovane amato, raffigurato discinto, coperto da un drappo che dal braccio sinistro ricade sulla gamba destra. Ai piedi della coppia sono la figura di un cane accucciato e di un piccolo Eros, rivolti verso il giovane. Al centro sono rappresentate quattro figure maschili armate con sguardo mesto rivolto verso terra. Sulla destra la scena appare fortemente rimaneggiata e mancante, molto probabilmente, della figura del cinghiale: Adone giace a terra ferito ad una gamba che trattiene con la mano sinistra. Il braccio, che doveva originariamente essere sollevato, in gesto di difesa verso l’animale, appare oggi steso lungo il corpo. La figura è ritratta in nudità eroica a eccezione di un drappo poggiato sul braccio sinistro. Il braccio destro sollevato all’indietro trattiene nella mano una spada. Dietro di lui le figure di due cacciatori: quello a sinistra trattiene nella mano sinistra una lancia - ricostruita secondo l’originaria traccia del puntello - e nella destra, sollevata, una pietra da scagliare, probabilmente verso il cinghiale; quello a destra, fortemente restaurato nella parte destra, presenta una posizione non consona alla scena con il capo rivolto verso sinistra e la mano destra vuota sollevata. Il braccio sinistro, steso lungo il corpo, trattiene nella mano una lancia.
Le differenti ambientazioni delle due scene che si svolgono, probabilmente, in un interno - o in un’area confinata - a sinistra e all’esterno a destra, sono evocate nei lati estremi della lastra dalla raffigurazione del drappo appeso e da un pilastro di roccia.
Il mito ebbe un’ampia eco nel mondo romano, sviluppato soprattutto nell’ambito delle decorazioni pittoriche parietali. Si ritrova raffigurato in un ambiente della Domus Aurea e a Pompei, nella Casa di Adone, in quella del Poeta Tragico, in quella di Meleagro, e in quella del Chirurgo. Nel II secolo d.C. il soggetto iconografico si diffonde nella produzione di sarcofagi come raffigurazione dello ἱερὸς γάμος, il congiungimento sacro del divino con l’umano. In ambito funerario la simbolica unione della dea e del giovane sembra esprimere l’annullamento della distanza tra terra e cielo, e rende possibile l’idea dell’eterno ritorno. I monumenti funebri, nei quali il mito è narrato attraverso la sequenza di diversi momenti evocativi con varianti nei particolari, sembrano testimoniare la derivazione da un archetipo comune (Felletti-Maj 1958, p. 70). Tra i numerosi esemplari conservati, quello che sembra accostarsi maggiormente alla scultura Borghese è il sarcofago custodito nel Museo del Louvre, che mostra una partizione delle figure e un impianto nella scena di caccia analoghe, a eccezione della figura del cinghiale e di quella di Venere assisa (Servais Soyez 1981, p. 226, n. 38).
Il Grassinger, osservando l’ampio uso del trapano nella resa della capigliatura di Adone e nelle pieghe delle vesti, suggerisce un inquadramento cronologico tra il 160 e il 170 d.C., datazione che appare da confermare.
Giulia Ciccarello