Il fregio, pertinente al retro di un sarcofago, è di ignota provenienza e venne murato insieme al fronte nella facciata orientale della palazzina, la cd. Prospettiva, poi spostato presso il Recinto del Lago, infine affidato nel 1827 al restauratore Antonio D’Este e collocato, con il fronte, su due pareti opposte della sala I. Sei colonne tortili sormontate da capitello corinzio scandiscono lo spazio in cinque scomparti, dominati dalle figure di cinque delle nove Muse, figlie di Zeus e Mnemosine (la Memoria). Da sinistra si distingue una musa con strumento a corda; seguono Erato, musa della poesia lirica; Clio, musa della Storia; Urania, musa dell’astronomia e infine Polimnia, tutelatrice della pantomima. Il tema iconografico delle Muse, sviluppato in Grecia in età classica, giunse attraverso nuove formulazioni ellenistiche al mondo romano, dove godette di particolare apprezzamento anche su sarcofagi, con oltre 300 esemplari noti.
Parco di Villa Borghese (ante 1650; Manilli); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 44, n. 49. Acquisto dello Stato, 1902.
Il fregio è pertinente al retro di un sarcofago, di ignota provenienza, murato insieme al fronte nella facciata orientale della palazzina, la cd. Prospettiva, come ricordato da Manilli e Montelatici. In un momento successivo entrambi i rilievi vennero spostati a decorare il Recinto del Lago, inseriti nel muro situato in corrispondenza della Grotta dei Leoni, come attestato da un disegno di Charles Percier conservato a Parigi nella Biblioteca dell’Institut de France (1786-1791), dove rimasero fino alla cessione delle antichità a Napoleone. In tale occasione le lastre vennero staccate, ma solo i lati brevi del sarcofago, decorati con la porta dell’Ade e Omero tra le personificazioni Iliade e Odissea, giunsero a Parigi. Con il nuovo allestimento della collezione nel Casino di Villa Pinciana, entrambi i rilievi furono rimossi dal Recinto, affidati al restauratore Antonio D’Este e infine collocati su due pareti opposte della sala I.
Il sarcofago è uno dei più antichi esemplari del tipo a colonne, di provenienza asiatica. Sei colonne tortili sormontate da capitello corinzio scandiscono lo spazio in cinque scomparti, posando a coppie su sezioni staccate di stilobate e creando edicole aggettanti, alternativamente coperte da semicupole e timpani, collegate da una trabeazione mistilinea a kyma lesbio, ovuli e dentelli. L’impianto architettonico allude alla frons scenae dei teatri romani.
I tipi iconografici e gli attributi permettono di riconoscere cinque delle nove Muse, figlie di Zeus e Mnemosine (la Memoria), le divini cantatrici che con la loro musica allietavano il consesso degli dei, evocate da Omero nell’Iliade e nell’Odissea. Partendo da sinistra una Musa era caratterizzata da uno strumento a corda, di cui resta il balteo di supporto. Seguono Erato, musa della poesia lirica, accompagnata dalla cetra; Clio, musa della Storia, con un rotolo nella destra e un dittico nella sinistra, Urania, musa dell’astronomia, con il globo e infine Polimnia, tutelatrice della pantomima, caratterizzata dalla torsione verso sinistra della parte superiore del corpo e dall’incrocio della gamba sinistra sulla destra, fasciata in un ampio mantello, che cela il chitone e raccolta in posa di meditazione nota da molteplici statue a tutto tondo.
Il tema iconografico delle Muse, sviluppato in Grecia in età classica, giunse attraverso nuove formulazioni ellenistiche al mondo romano, dove godette di particolare apprezzamento nel repertorio decorativo in pittura, mosaico, cicli scultorei destinati ad ambienti pubblici e privati e, a partire dalla metà del II sec. d.C., su sarcofagi. La lastra in esame appartiene a un sarcofago del tipo "a colonne", produzione di ambito microasiatico molto nota che si ritiene sia fiorita a Docimio per circa un secolo, tra il 170 e il 260/270 d.C., grazie alla pregiata qualità di marmo bianco e all'attività di maestranze locali, e che conobbe un'ampia importazione soprattutto a Roma (Wiegartz 1965; Koch 2011; sulla predilezione del tipo da parte delle aristocrazie di età antonina, cfr. Thomas 2011).
Il linguaggio formale e tecnico, con uso intenso del trapano per favorire i chiaroscuri, permettono di collocare il sarcofago Borghese nel secondo venticinquennio del III secolo.
Jessica Clementi