Statua femminile, identificata con l’immagine di una Ninfa dormiente. La figura è seminuda, adagiata sul plinto e distesa lungo un fianco. Il ventre e le gambe sono avvolti in un mantello panneggiato. Un braccio è piegato in direzione della spalla opposta, e questo movimento genera una lieve torsione nel corpo. L’altro braccio è proteso in avanti e la mano copre l’orlo di un vaso cui si appoggia parte del busto.
La testa è leggermente reclinata su un lato con una guancia posata sulla mano. La capigliatura mostra larghe ciocche che dipartono da una scriminatura centrale per ricadere sulle spalle.
La scultura è un’opera romana della metà del II secolo d.C., ispirata a un modello di chiara derivazione dall’arte ellenistica, probabilmente pergamena.
Collezione Borghese, documentata dalla metà del XVII secolo. Acquisto dello Stato, 1902.
Questa statua femminile, che mostra una figura seminuda, distesa su un fianco, può ben identificarsi con l’immagine di una Ninfa dormiente, secondo una iconografia ben attestata nell’arte ellenistica e romana.
Un ampio mantello avvolge il ventre e le gambe. Dalla posizione delle ginocchia, poco sollevate, si genera l’andamento disordinato delle pieghe del panneggio, raccolto sul ventre e più fitto verso i piedi, nascosti dal tessuto. Una lieve torsione del corpo, appena accennata nel dettaglio anatomico, deriva dalla posa del braccio piegato in direzione della spalla opposta. L’altro braccio è proteso in avanti e la mano copre l’orlo di un vaso cui si appoggia parte del busto. La testa è appena reclinata su un lato con una guancia delicatamente posata sulla mano. La capigliatura si compone di ampie ciocche ondulate, che dipartono da una scriminatura centrale per ricadere, fluenti, sulle spalle. Una certa morbidezza caratterizza le forme del corpo e i lineamenti del volto. La figura è adagiata su un plinto, che rimanda alla superficie della roccia che avrebbe accolto la Ninfa addormentata.
L’estremità sinistra e la parte anteriore destra del plinto, l’orlo del mantello, l’avambraccio sinistro con il panneggio, la mano, il vaso, infine il ginocchio destro sono di restauro. Tuttavia, l’aspetto della scultura resta fedele all’iconografia originaria.
La statua faceva parte, assieme al suo pendant moderno (inv. XVII), già della collezione seicentesca ed era esposta nella Loggia coperta, sovrastante la Galleria della villa pinciana. Si trattava di uno degli ambienti di rappresentanza degli appartamenti disposti al piano superiore del Casino. Le due “Naiadi”, di dimensioni minori del vero, erano collocate su basamenti lignei ai lati delle statue di Bacco e Mercurio, e disposte lungo la parete rivolta verso il salone principale (I Borghese e l’antico, p. 181).
A proposito della scultura Iacopo Manilli parla, genericamente, di «Ninfa de’ Fiori che giace dormendo» (Manilli 1650, p. 91), mentre Domenico Montelatici aggiunge «Statua di una Naiade che giace dormendo, col capo, e la spalla sopra un vaso in atto di versarsi» (Montelatici 1700, p. 262).
Il soggetto iconografico gode di particolare fortuna in età imperiale romana, in particolare tra il II e il III secolo d.C. quando compare, in prevalenza, tra le statue ornamentali di lussuose residenze o di giardini. Anche nel caso della Ninfa Borghese, infatti, la presenza del vaso (e del foro al suo interno) lascia immaginare la funzione della statua come ornamento di fontana. Il tipo iconografico è attestato da numerose varianti e repliche, con esempi che rimandano anche a una destinazione funeraria, ricorrendo sui coperchi di sarcofagi monumentali.
L’intonazione stilistica, il trattamento delle pieghe del panneggio, nette e poco plastiche, la resa della capigliatura, la lavorazione delle ciocche, delle forme anatomiche e della superficie marmorea, soprattutto nelle parti nude, rimandano a una datazione intorno al 140-160 d.C.
Il modello da cui traggono ispirazione l’iconografia e lo stile della Ninfa, che richiamano quella di figure divine o mitologiche distese o dormienti, si pensi alle personificazioni dei fiumi, ad Eros (cfr. nella stessa Collezione Borghese inv. CVIIC) o in particolar modo all’Arianna (si vedano gli esemplari degli Uffizi e dei Musei Vaticani), dipende da un originale di età ellenistica, probabilmente elaborato in ambiente pergameno nel corso del II secolo a.C.
Assente nell’Inventario del Fidecommesso Borghese del 1833, la scultura è stata aggiunta in seguito con il numero 8. La nota di Antonio Nibby del 1838 ne attesta il passaggio nel Portico e la nuova collocazione «sopra un piccolo sarcofago» (Nibby 1841, p. 909).
Clara di Fazio