La scultura è da identificare probabilmente con la statua di Paride ricordata nel 1700 nel II Recinto della Villa, a decorazione di una nicchia nel muro settentrionale accanto al Teatro. Nel 1833 si ritrova menzionata nell’odierna collocazione nella sala VII.
La figura maschile, da riconoscere come Paride, è nuda a eccezione del pileo - il berretto frigio - e un mantello che avvolge il braccio sinistro. Il corpo, sostenuto da un tronco, reca una configurazione sinuosa che insiste sul piede sinistro mentre la gamba destra è flessa.
Si tratta probabilmente di una replica romana, inquadrabile nel I secolo d.C., di un originale bronzeo attribuito da Plinio allo scultore Eufranore, attivo nel IV secolo a.C.
Collezione Borghese, ricordato nel 1700 nel II Recinto della Villa, in una delle due nicchie del muro accanto al Teatro (Montelatici 1700, p. 74) e nella sala VII nel 1833, Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 53, n. 168. Acquisto dello Stato, 1902.
La figura è rappresentata stante, poggiata a un tronco di albero, sul quale si sostiene il braccio destro piegato che sorregge nella mano un pomo. Il braccio sinistro, portato all’indietro, pone delicatamente la mano sul gluteo. Il corpo riproduce una configurazione sinuosa verso sinistra, alla quale sembra partecipare la gamba destra flessa con il piede sollevato e sostenuto sulle dita. La figura è nuda ad eccezione di un panneggio che, adagiato sul tronco di sostegno, copre parzialmente l’avambraccio sinistro. Il capo, coperto da un pileo, un berretto frigio dal quale fuoriescono dei corposi riccioli che incorniciano la fronte, è rivolto verso sinistra. La bocca dalle piccole labbra è dischiusa e il naso e il mento sono ben marcati. La scultura, da identificare come Paride per l’iconografia prestante del giovane e il pomo del giudizio, che reca nella mano e donerà a Venere, è da considerare una replica di un tipo statuario tradizionalmente attribuito ad Eufranore, scultore attivo nel IV secolo a.C. Plinio assegna all’artista un “Alessandro Paride” in bronzo al quale riconduce le diverse qualità morali attribuite al personaggio nei vari episodi del mito, quello di giudice della bellezza, seduttore di Elena, uccisore di Achille (Naturalis Historia XXXIV, 77). Da tale creazione, purtroppo non conservata, sono state ritenute derivare numerose varianti tra le quali quella Borghese. Il Lippold osserva per la replica Borghese una caratterizzazione poco evidente dei tratti fisionomici del volto (p. 16, n. 2764) mentre la Dacos, che individua un’affinità con la copia conservata alla Glyptothek di Monaco, sottolinea una resa poco curata e lontana dagli aspetti caratteristici del prototipo originale (1961, pp. 382-384). Lo schema della figura sinuoso che poggia su un tronco d’albero, le forme dell’anatomia asciutte, il solco netto inguinale e lo stile saldo della struttura collegano la creazione alla tradizione peloponnesiaca del IV secolo a.C. in una elaborazione inquadrabile nel I secolo d.C.
L’opera è probabilmente da identificare con un “Paride ignudo col pomo in mano” ricordato dal Montelatici nel 1700 nel II Recinto della Villa, a decorazione di una nicchia nel muro settentrionale accanto al Teatro (p. 74). Nel 1833 è menzionata nell’Inventario Fidecommissario Borghese nella sua attuale collocazione, la sala VII (C., p. 53, n. 168).
Giulia Ciccarello