Statua femminile, di dimensioni maggiori del vero, con testa-ritratto dell’imperatrice Salonina, moglie di Gallieno, probabilmente rielaborata da un ritratto di Faustina minore.
La figura è ammantata, stante sulla gamba destra. Indossa un lungo chitone, stretto sotto al seno da un nastro annodato, e un ampio himation, un mantello. Nella mano sinistra reca una patera. Si tratta di un’opera romana realizzata da una officina imperiale urbana della seconda metà del II secolo d.C.
L’aspetto della testa e del volto deriva dalla rilavorazione eseguita nell’età di Gallieno. Per impostazione e iconografia, la scultura si ispira a un modello di epoca ellenistica risalente, in particolare, alla fine del IV secolo a.C.
Collezione Borghese, documentata dal 1819. Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C, p. 43, n. 28. Acquisto dello Stato, 1902.
La scultura, iconica, di dimensioni maggiori del vero, rappresenta una donna ammantata nella quale è possibile riconoscere una imperatrice. L’opera è entrata nella collezione di antichità della Villa Borghese nel 1819, quando diverse statue e vari oggetti marmorei furono trasferiti sia da Villa Mondragone, sia dal Palazzo in Campo Marzio (AAV, Arch. Borghese 8096, nr. 145; Moreno, Sforzini 1987, p. 346).
Al momento dell’ingresso nella Villa Pinciana è stata erroneamente identificata con una immagine di Giunone. Contestuale al nuovo allestimento nella sala I è il restauro eseguito da Felice Festa, scultore esperto che lavora negli stessi anni di Francesco Massimiliano Laboureur. All’intervento di Festa si devono le numerose integrazioni: in particolare, le braccia, le mani, l’attributo, e ancora il naso, gli angoli del basamento, le dita dei piedi. Lo scultore, inoltre, ha inserito alcuni tasselli per colmare le mancanze tra le pieghe del panneggio.
La figura è stante sulla gamba destra, mentre la sinistra è flessa e leggermente arretrata. Il braccio destro con la mano sono di restauro, il sinistro è invece in parte antico e nella mano reca una patera, strumento liturgico impiegato per le libagioni durante le cerimonie religiose. Un simile attributo si direbbe rimandare alla pietas imperiale. L’inserzione dell’oggetto deriva dal lavoro di Festa, ma doveva essere già presente nell’originale. Sappiamo, infatti, che i restauri furono eseguiti «a tenore dello stile antico» (AAV, Arch. Borghese 1005, nr. 158; Moreno, Sforzini 1987, p. 346). L’intervento più recente, invece, oltre alla profonda ripulitura della superficie marmorea, ingiallita dall’invecchiamento della patina, ha previsto la rimozione delle stuccature in gesso, che risarcivano fessurazioni, lacune e giunzioni tra gli inserti, e l’eliminazione delle incrostazioni.
La figura indossa una lunga veste manicata e pieghettata, il chitone, stretta da un nastro annodato al di sotto del seno. Un ampio mantello, l’himation, copre la parte posteriore del capo, avvolge il braccio sinistro e cinge i fianchi in un sinuoso panneggio.
Interessante testimonianza di un rifacimento antico è la testa-ritratto inserita su questa statua iconica.
Le tracce della capigliatura originaria richiamano Faustina minore, moglie di Marco Aurelio. Tale identificazione è coerente con la stessa cronologia assegnabile all’intera opera (150-170 d.C.). La chioma presenta una scriminatura centrale, con onde larghe, plastiche, che si dispongono sopra le orecchie. Dietro l’orecchio sinistro si notano i segni della capigliatura di Faustina, che doveva prevedere delle trecce laterali.
Il volto è stato fortemente rilavorato per rappresentare Salonina, moglie di Gallieno, riconoscibile grazie ai confronti con i ritratti monetali (260-268 d.C.). L’abbassamento del piano della superficie marmorea si nota anche dalla sproporzione tra l’ovale del viso e la grandezza delle orecchie, ricavate dal velo. Al pari della capigliatura, il mantello è stato semplificato e arretrato. Da una piega sulla sommità del capo, infatti, è stata ricavata una treccia.
L’impostazione dell’opera riprende un modello statuario ellenistico della fine del IV secolo a.C. Si tratta, in particolare, del tipo iconografico della Tyche o Fortuna, ampiamente utilizzato in età imperiale per la realizzazione di statue iconiche. L’esemplare della collezione Borghese mostra una rielaborazione del corpo attribuibile all’opera di una officina scultorea romana della metà del II secolo d.C. Entrambi i ritratti imperiali devono essere stati realizzati da una bottega artistica ufficiale.
Il Fidecommesso Borghese del 1833 riporta la collocazione della statua, erroneamente identificata come Livia, nel salone della villa (p. 43, n. 28). Degna di nota è la scelta estetica e compositiva nell’allestimento dell’imperatrice in veste di sacerdotessa a lato della porta di ingresso alla Galleria, in posizione simmetrica rispetto all’Augusto rappresentato come pontefice massimo.
Clara di Fazio