Il torso proviene, secondo il Nibby, dagli scavi svolti nel 1826 nella Vigna Lucidi situata nell’area tra Frascati e Monte Porzio Catone, di proprietà della famiglia Borghese. Si tratta del busto di una figura maschile nuda, di dimensioni maggiori del vero, ritratta con le braccia sollevate. L’inclinazione del collo verso sinistra e le pieghe del ventre portano a supporre che si trattasse in origine di una statua seduta. Interpretata dagli autori come Apollo o Diadumeno, è da ritenere una derivazione ispirata a modelli ellenistici di ambito alessandrino, inquadrabile nel II secolo d.C.
Collezione Borghese, probabilmente proveniente dagli scavi del 1826 nell’area tra Frascati e Monte Porzio Catone, nella vigna Lucidi (Nibby 1841, pp. 909-910, n. 14); citata per la prima volta nella Palazzina Borghese dal Nibby, esposta nel Portico (Nibby 1832, p. 17, n. 6); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 41, n. 1. Acquisto dello Stato, 1902.
Il torso, di dimensioni maggiori del vero, ritrae una figura maschile nuda dalle forme piene e incarnato sodo. La particolare inclinazione del collo verso sinistra e in avanti e le pieghe addominali del ventre portano a supporre che si trattasse in origine di una figura seduta. Le braccia sono sollevate, quello destro è piegato all’indietro, quello sinistro flesso sopra la testa. Il Nibby lo ritiene proveniente dagli scavi intrapresi per volontà del Principe Camillo Borghese nel 1820 in una vigna di proprietà della famiglia in località Santa Croce, tra Monte Porzio e Frascati, concessa in enfiteusi a Cesare Lucidi. La scultura sarebbe stata rinvenuta nel 1826 (Nibby 1841, pp. 909-910, n. 14; Moreno, Sforzini 1987, pp. 347-348). Il Valenti, che nel 2003 esamina le sculture provenienti dalla vigna Lucidi, ritiene che le indagini archeologiche siano state svolte in un’unica campagna tra il 1820 e il 1821 e che la datazione riportata dal Nibby sia da imputare a un errore di trascrizione (Valenti 2003, p. 188, nota 17).
Il Nibby, che la ricorda collocata nel Portico della Palazzina Borghese, ne fornisce due diverse interpretazioni: inizialmente vi riconosce “Apollo in atto di tendere l’arco onde scagliare il dardo sterminatore”; in un secondo momento, invece, la indica come un torso di Diadoumeno (1832, p. 17; 1841 pp. 909-910). Nell’Inventario Fidecommissario del 1833 la scultura è ritenuta un torso di Bacco, mentre il Venturi nel 1893 la menziona come “torso di un Apollo saettatore […] che per la mossa richiama il Diadumeno di Policleto” (p. 11). Il Lippold prende le distanze dall’interpretazione del Nibby circa un Apollo intento a scoccare con l’arco e ipotizza invece un movimento analogo a quello del satiro con il kroupezion, uno strumento a percussione che si legava sotto al piede (1925, p. 2, n. 2707). Infine il Reinach lo colloca tra le raffigurazioni di atleti e lo affianca a una replica dell’atleta del tipo Amelung presente nella collezione Torlonia (Inv. 470: Picozzi 2006, pp. 73,75).
L’osservazione delle caratteristiche stilistiche, quali il morbido incarnato e la realistica tensione muscolare, derivanti da modelli ellenistici di ambito alessandrino, induce a considerare la scultura una produzione di II secolo d.C.
Giulia Ciccarello