Il gruppo scultoreo viene ricordato dal Iacomo Manilli nel 1650 e da Domenico Montelatici nel 1700, presso iI II Recinto della Villa, lungo il viale dei cipressi, vicino alla zona del Teatro. Il primo lo definisce come “Antonino Pio con una figliuolina”, il secondo “Antonino Pio con una figliuolina accanto, forse Lucilla, coronata da Imperatrice, in atto d’accarezzarla”. Nelle guide del 1832 e del 1838 di Antonio Nibby il gruppo era erroneamente denominato “Libero e Libera”, divinità italiche da identificarsi con Dioniso e la sua paredra, di cui l’autore fornisce una lunga analisi documentaria. Il riconoscimento di un gruppo funerario raffigurante un padre e una figlia è da attribuire nel 1925 a Walter Amelung (Amelung-Arndt-Lippold 1925, p.18, n.2771), il quale propone un confronto con il gruppo a tutto tondo da Atp in Provenza a Chatsworth House, databile all’età flavia o al più tardi all’epoca traianea (Furtwängler 1901, Vol. 21, pp. 221-224, n.9, tav XV). Questo rappresenta una donna seduta accanto a una bambina la quale pone affettuosamente la mano sinistra su quella della madre. Un disegno di fine Settecento testimonia che fu tra le opere utilizzate per ornare il nuovo Giardino del Lago (B.I.A.S.A., ROMA XI, 48.42). All'epoca della ricostituzione della raccolta nella palazzina, tra il 1819 e il 1832, dopo la massiccia vendita delle opere della collezione antica da parte di Camillo Borghese al cognato Napoleone Bonaparte, fu affidato ad Antonio D'Este il restauro della scultura (Sforzini, 2011, pp. 68-69, fig. 3). Nell'intervento, avvenuto nel 1828, l’originaria testa maschile fu sostituita con una antica raffigurante Dioniso, del tipo Madrid-Richelieu attribuito a Prassitele, caratterizzato da un volto di età giovanile, senza barba, decorato da benda e corona d’edera (Il tipo risulta strettamente imparentato con quello Woburn Abbey, n.120, dal quale si distingue solo per la posizione del capo e la diversa concezione del viso e della capigliatura: Gasparri 1986, pp. 435-436, tav. 306, n.122a). La scelta di una testa raffigurante il dio del vino bene si armonizzava con le tematiche degli affreschi che decorano la sala VIII della Villa, alla quale il gruppo fu destinato. Ricordata ancora nella sala VIII nella Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese del 1840 e del 1873, successivamente da Adolfo Venturi nel 1893 ed infine da Vittorio Emanuele Bianchi nel 1910, fu posta nel portico probabilmente a metà del XX secolo. L’uomo, seduto con il piede destro avanzato e il sinistro flesso, indossa un mantello avvolto alle gambe e sulle spalle, con caduta sul braccio sinistro che lascia scoperto il busto e i piedi. La figura, dalle forme asciutte e ben modellate, mostra una posizione rilassata e familiare con il braccio destro abbandonato sulla gamba e il sinistro a cingere le spalle della bambina posta accanto a lui. La fanciulla, affettuosamente rivolta verso l’uomo, è in piedi, su un dado ornato. Veste un chitone manicato e peplo fermato sulle spalle con lungo apoptygma stretto sotto il seno da una sottile cintura. Nella mano sinistra sorregge delicatamente una colomba. Il volto maschile, dall’ovale allungato e la fronte bassa, è ripreso frontalmente. Le guance sono lisce e morbide, mentre il mento è breve e arrotondato. La bocca, piccola dalle labbra piene, termina ai due lati con delle fossette. Il naso è dritto e ben marcato, con occhi a mandorla e dal globo liscio posti simmetricamente ai lati, sotto ad arcate sopraccigliari lineari che arrivano quasi fin su le tempie. La fronte è parzialmente coperta da una benda che poggia sui folti capelli all’altezza delle tempie, mentre la sommità del capo è sormontata da una corona di edera. La voluminosa capigliatura ha una lieve scriminatura centrale che suddivide le ciocche, rivolte verso il basso con lunghi riccioli spiraliformi ricadenti sulle spalle da una crocchia sulla nuca. La bambina ha un’espressione serena sul volto, con tratti delicati, naso minuto e guance paffute. Le labbra piccole e carnose sono dischiuse, con un atteggiamento della bocca quasi sorridente. I capelli sono tenuti da una pettinatura a doppia treccia avvolta a corona che attraversa l’intera sommità del capo, mentre il viso è incorniciato da una lunga frangia liscia che congiunge, lasciandole scoperte, le due orecchie. Riguardo alla posizione della figura maschile seduta, Walter Amelung individua nella statua di Zeus conservata al Museo Nazionale di Napoli una precisa somiglianza per la caduta del lembo centrale del mantello e per la posizione delle gambe (Amelung, 1908, p. 120, fig. 19). Mentre l’iconografia della fanciulla con colombe si ritrova già nel IV secolo a.C., come testimonia la scultura conservata alla Gliptoteca di Monaco di Baviera proveniente dal Santuario di Artemide Brauronia di Atene (Ohly, 1972, p.10, n. 55), che presenta forti somiglianze con la statua Borghese. La composizione, di evidente destinazione funeraria privata, trova un confronto pertinente con il gruppo scultoreo di donna con figlioletto, vestito di toga e bulla, conservato ai Musei Capitolini e databile prima età imperiale (Palazzo Nuovo, Galleria, Inv. Scu 243). La ricchezza del panneggio dell’uomo e il chitone altocinto della fanciulla rimandano all’età antoniniana, mentre il ritratto infantile, con una pettinatura a lunghe ciocche ondulate e lineamenti minuti, si può far risalire prima metà imperiale. Nell’insieme il gruppo funerario di defunto seduto e infante proviene dall’iconografia delle stele attiche nelle quali sono rappresentate scene espressive d'intimità familiare e ricche di sentimento secondo schemi iconografici ben precisi e riconoscibili. Sono celebrati i legami affettivi come si ritrova nella stele funeraria di una donna di nome Ampharete, che tiene in grembo il nipote. L’epigrafe dichiara: «Ho caro questo figlio della mia figlia, che quando / vedevamo, in vita, i raggi del sole, / tenevo sulle mie ginocchia, come ora, defunto, lo tengo, defunta» (Catoni, 2005, Fasc. 1, p.34).
Giulia Ciccarello