Nel corpo del vaso sono raffigurati dieci putti divisi equamente su ciascuna delle due porzioni delimitate lateralmente dalle anse: in una i putti impegnati nella raccolta di grappoli d’uva interrompono la loro attività per aiutare uno di loro ad alzarsi da terra, nell’altra un putto sta riversando i grappoli nel tino perché un altro li schiacci con i piedi. Le altre figure suonano il tamburello o giacciono a terra, probabilmente ebbre. Entrambe le scene sono sovrastate da tralci di vite che corrono sotto l’orlo e da cui pendono numerosi grappoli d’uva.
Il vaso, chefa parte di un gruppo di quattro eseguiti da Massimiliano Laboureur e Lorenzo Cardelli tra il 1783 e il 1785, in occasione dei lavori di rinnovamento della villa promossi da Marcantonio Borghese, si sviluppa in forma di cantharus. Da un piede con modanature sovrapposte a listello, a fettucce intrecciate e a foglie d’acanto, si innalza un fusto liscio rastremato verso l’alto, con un nodo a corona di foglie d’alloro legate da nastri. Ha il sottocoppa ornato da baccellature e il corpo decorato da un bassorilievo continuo. L’orlo a becco di civetta è decorato a ovoli e frecce; a esso sono collegate da un colletto le doppie anse, le cui terminazioni, avvolte in spirali di dimensioni decrescenti, si adagiano sulla parte superiore dell’orlo.
Sotto un pergolato carico d’uva dieci putti stanno giocando e vendemmiando: alcuni raccolgono grappoli per versarli in un tino e schiacciarli, mentre altri danzano al suono del tamburello e uno, caduto a terra, viene aiutato a rialzarsi.
La scena è una raffigurazione allegorica dell’autunno, soggetto che affonda le sue radici nella Grecia del IV secolo a.C., epoca a cui risalgono la suddivisione dell’anno in quattro stagioni e i primi tentativi degli artisti di dare vita a personificazioni e allegorie che celebrassero i doni che la natura offre all’uomo in ciascuna di esse.
Nella serie di quattro vasi, di cui il presente fa parte, eseguiti in collaborazione da Lorenzo Cardelli, abile intagliatore di marmi, e Massimiliano Laboureur, elegante e raffinato scultore, per le allegorie delle stagioni si è scelto di raffigurare il soggetto secondo un gusto ellenistico, attraverso attività e giochi compiuti da delicati gruppi di putti, per i quali Laboureur, autore della figurazione in bassorilievo, mostra anche di aver guardato alle opere dello stesso genere di François Duquesnoy (Faldi, 1954, p. 58).
Anche la forma del vaso è frutto dello studio di modelli antichi, per essa Lorenzo Cardelli ha evidentemente tratto ispirazione dal cantaro tardo antico collocato nel quadriportico della chiesa di S.Cecilia in Trastevere in Roma, assai noto in quegli anni anche grazie a un’incisione di Giovanni Battista Piranesi (1778, I, tav. 37). L’insieme, elegante e raffinato, dà forma allo spirito di recupero dell’antico che animava i lavori di decorazione della Villa Pinciana avviati da Marcantonio Borghese dagli anni Settanta del secolo e condotti con la supervisione dell’architetto Antonio Asprucci. L’assoluta qualità dei vasi è sottolineata entusiasticamente anche dal Giornale delle Belle Arti del 29 ottobre 1785 in cui viene data la notizia dell’esecuzione della serie: “Il lavoro è condotto con una delicatezza e deligenza degna dei più bei tempi della Grecia” (p. 338).
Nella contabilità di casa Borghese sono conservati mandati di pagamento a Lorenzo Cardelli e a Massimiliano Laboureur per l’esecuzione della serie di vasi. Il primo ha ricevuto 280 scudi nel febbraio 1785 per “fattura, svuotatura e intaglio di quattro vasi di marmo statuario con suoi manichi” (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, b. 5849, Filza dei mandati, 1784-1785, n. 19; b. 8090, Registro dei mandati, 1785-1786, p. 25 s., n. 95; in Faldi, 1954, p. 58, nn. I e II). A Massimiliano Laboureur sono stati versati, tra il 1783 e il 1785, un totale di 400 scudi “per i bassirilievi fatti in quattro vasi di marmo situati nella stanza di Dafne, ed Apollo, nel Palazzo di Villa Pinciana” (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, b. 5848, Filza dei mandati, 1783, n. 174; b. 5849, Filza dei mandati, 1784-1785, nn. 108, 119, 162, 181; b. 8090, Registro dei mandati, 1785-1786, p. 156, n. 587; in Faldi, 1954, p. 58, nn. III-VIII).
Eseguiti per la sala di Apollo e Dafne, i quattro vasi erano esposti sopra altrettante antiche are triangolari (oggi al Louvre); dal 1888 sono esposti in sala XIV su rocchi di bigio morato (Faldi, 1954, p. 58).
Sonja Felici