La scultura, quadrangolare, conserva una modanatura aggettante nelle estremità superiore e inferiore. Nella faccia frontale è raffigurato, all’interno di una valva di conchiglia, il busto-ritratto della defunta; in quelle laterali, in rilievo, una cetra a undici corde, a sinistra, e una lira a quattro corde, a destra. L’iscrizione funebre, in distici greci, delimita superiormente e inferiormente la conchiglia mentre sul basamento è ricordato il nome della defunta, in lingua latina, Petronia Musa. Gli appellativi attribuiti nella commemorazione funebre lasciano supporre si tratti di una poetessa o musicista, comunque una persona di alto rango.
La scultura è ricordata nella Villa Borghese dal Manilli, nel 1650, in uno dei viali adiacenti la palazzina e si ritrova nella sua attuale collocazione nel Salone dal 1832.
Collezione Borghese, citata per la prima volta nella Villa nel 1650 in uno dei viali adiacenti la Palazzina (Manilli 1650, p. 127); Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 43, n. 28. Acquisto dello Stato, 1902.
Iscrizione superiore:
ΤΗΝ ΚΥΑΝΩΠΙΝ ΜΟΥΣΑΝ ΑΗΔΟΝΑ ΤΗΝ ΜΕΛΙΓΗΡΥΝ
ΛΕΙΤΟΣ ΟΔ ΕΞΑΠΙΝΗΣ ΤΥΝΒΟΣ ΑΝΑΥΔΟΝ ΕΧΕΙ
ΚΑΙ ΚΕΙΤΑΙ ΛΙΘΟΣ ΩΣ Η ΠΑΝΣΟΦΟΣ Η ΠΕΡΙΒΩΤΟΣ
ΜΟΥΣΑ ΚΑΛΗ ΚΟΥΦΗ ΣΟΙ ΚΟΝΙΣ ΗΔΕ ΠΕΛΟΙ
Iscrizione inferiore:
ΤΙΣ ΜΟΥ ΤΗΝ ΣΕΙΡΗΝΑ ΚΑΚΟΣ ΚΑΚΟΣ ΗΡΠΑΣΕ ΔΑΙΜΩΝ
ΤΙΣ ΜΟΥ ΤΗΝ ΓΛΥΚΕΡΗΝ ΗΡΠΑΣΕ ΑΗΔΟΝΙΔΑ
ΝΥΚΤΙ ΜΙΗ ΨΥΧΡΑΙΣΙΝ ΑΦΑΡ ΣΤΑΓΟΝΕΣΣΙ ΛΥΘΕΙΣΑ
ΩΛΕΟ ΜΟΥΣΑ ΕΤΑΚΗ Δ ΟΜΜΑΤ ΕΚΕΙΝΑ ΣΕΟ
ΚΑΙ ΣΤΟΜΑ ΠΕΦΡΑΚΤΑΙΤΟ ΧΡΥΣΕΟΝ ΟΥΔΕΝ ΕΤ ΕΝ ΣΟΙ
ΛΕΙΨΑΝΟΝ ΟΥ ΚΑΛΟΥΣ ΟΥ ΣΟΦΙΗΣ ΠΕΛΕΤΑΙ
ΕΡΡΕΤΑΙ ΜΕΡΜΗΡΑΙ, ΘΥΜΑΛΓΕΕΣ ΑΜΜΟΡΟΙ ΕΣΘΛΗΣ
ΕΛΠΙΔΟΣ ΑΝΘΡΩΠΟΙ ΠΑΝΤΑ Δ ΑΔΗΛΑ ΤΥΧΗΣ
La scultura è ricordata, nel 1650, dal Manilli in uno dei viali adiacenti la palazzina, come sostegno di una statua di Cerere “più grande assai del naturale, di marmo bianco, con la veste di marmo nero” (p. 127). La statua, da identificarsi con la Iside in corsa, è attualmente esposta nella sala VII (inv. CCIX). Tale sistemazione è confermata dal Montelatici nel 1700 (pp. 44-46). Infine il Nibby nel 1832 pone l’ara sepolcrale nella sua attuale collocazione nel salone a sostegno di una statua “stolata e velata” nella quale si può individuare la statua ritratto di Salonina tuttora presente (pp. 46-49, n. 9).
L’ara, quadrangolare, presenta una modanatura composta, nella parte superiore, da un listello, una gola dritta, e un secondo listello; in quella inferiore da un listello, un tondino e una gola rovescia. I fianchi sono decorati, in rilievo, da una cetra a undici corde, a sinistra, e da una lira a quattro corde, a destra. Sulla fronte, che il Nibby ricorda “ornata di due colonnette” non più visibili, è raffigurato il busto-ritratto della defunta inserito in una valva di conchiglia e delimitato superiormente e inferiormente dall’epigrafe funeraria in lingua greca, articolata in distici. Sulla base è riportato, in lingua latina, il nome della defunta, Petronia Musa.
L’iscrizione superiore, inserita in una modanatura, si articola in quattro righe:
ΤΗΝ ΚΥΑΝΩΠΙΝ ΜΟΥΣΑΝ ΑΗΔΟΝΑ ΤΗΝ ΜΕΛΙΓΗΡΥΝ
ΛΕΙΤΟΣ ΟΔ ΕΞΑΠΙΝΗΣ ΤΥΝΒΟΣ ΑΝΑΥΔΟΝ ΕΧΕΙ
ΚΑΙ ΚΕΙΤΑΙ ΛΙΘΟΣ ΩΣ Η ΠΑΝΣΟΦΟΣ Η ΠΕΡΙΒΩΤΟΣ
ΜΟΥΣΑ ΚΑΛΗ ΚΟΥΦΗ ΣΟΙ ΚΟΝΙΣ ΗΔΕ ΠΕΛΟΙ
Quella inferiore è disposta al di sotto della valva in otto righe:
ΤΙΣ ΜΟΥ ΤΗΝ ΣΕΙΡΗΝΑ ΚΑΚΟΣ ΚΑΚΟΣ ΗΡΠΑΣΕ ΔΑΙΜΩΝ
ΤΙΣ ΜΟΥ ΤΗΝ ΓΛΥΚΕΡΗΝ ΗΡΠΑΣΕ ΑΗΔΟΝΙΔΑ
ΝΥΚΤΙ ΜΙΗ ΨΥΧΡΑΙΣΙΝ ΑΦΑΡ ΣΤΑΓΟΝΕΣΣΙ ΛΥΘΕΙΣΑ
ΩΛΕΟ ΜΟΥΣΑ ΕΤΑΚΗ Δ ΟΜΜΑΤ ΕΚΕΙΝΑ ΣΕΟ
ΚΑΙ ΣΤΟΜΑ ΠΕΦΡΑΚΤΑΙΤΟ ΧΡΥΣΕΟΝ ΟΥΔΕΝ ΕΤ ΕΝ ΣΟΙ
ΛΕΙΨΑΝΟΝ ΟΥ ΚΑΛΟΥΣ ΟΥ ΣΟΦΙΗΣ ΠΕΛΕΤΑΙ
ΕΡΡΕΤΑΙ ΜΕΡΜΗΡΑΙ, ΘΥΜΑΛΓΕΕΣ ΑΜΜΟΡΟΙ ΕΣΘΛΗΣ
ΕΛΠΙΔΟΣ ΑΝΘΡΩΠΟΙ ΠΑΝΤΑ Δ ΑΔΗΛΑ ΤΥΧΗΣ
“Questo semplice monumento all’improvviso tiene muta
La Musa dagli occhi scuri, l’usignolo dalla voce di miele
E come pietra giace la sapiente, la famosa
bella Musa; leggera ti sia questa terra”.
“Quale demone malvagio, malvagio ha portato via la mia buona sirena?
Chi ha portato via il mio dolce usignolo?
Sciolta subito in una sola notte da lacrime gelide
Sei perita, o Musa, quei tuoi occhi si sono sciolti
La tua bocca d’oro si è chiusa e in te
Non rimane nulla della bellezza, della saggezza.
Andatevene alla malora cupi dolori, gli uomini sono privi di vera speranza
Tutti gli eventi del destino sono nascosti”.
Si tratta del monumento funebre di una donna, Petronia Musa, ritratta in età matura, abbigliata con una tunica e la palla, il mantello, sulla spalla sinistra. Il volto, ovale e asciutto, è caratterizzato da occhi allungati, contornati da pesanti palpebre; il naso e il mento risultano ben marcati. I capelli sono trattenuti in una complessa pettinatura detta “a turbante” o “a torre”, con una frangia a ondulazioni piatte che incornicia il volto e sul retro quattro spire di trecce raccolte in un’elaborata spirale verso la sommità della testa a formare una torre. Il ritratto sembra richiamare l’iconografia delle raffigurazioni di Faustina Maggiore, moglie di Antonino Pio, in particolare il cosiddetto tipo “Dresda”, caratterizzato da una maggior raffinatezza dell’acconciatura e forme più severe e contenute.
L’epigrafe è riportata all’inizio del XVII secolo dal Gruter che non ne indica l’ubicazione mentre alla fine dello stesso secolo il Fabretti ne fornisce per primo una traduzione latina (Gruter 1602, p. MCXVI; Fabretti 1699, pp. 287-288). Riguardo una disamina onomastica, nel 1726 il Gori ricorda l’esistenza di un noto medico di Augusto, Antonius Musa, con il medesimo nome, come pure di donne con lo stesso nome in altre iscrizioni. Propone, inoltre una traduzione in distici molto curati di Antonius Maria Salvinius (1726, pp. 270-271). Il Bonada ritiene che il nome sia stato abbastanza diffuso tra i servi, sia uomini che donne (1751, p. 442-443). I due epigrammi presentano una differente caratterizzazione dei toni che ha indotto alcuni studiosi a supporre due diversi compositori (Cozza-Luzi 1902, pp. 264-280). Il primo è un tradizionale commiato funebre che descrive il personaggio sepolto e termina con l’espressione augurale tipica del mondo romano, “che la terra ti sia lieve”. Si apre in maniera molto evocativa, con il complemento oggetto in prima posizione, cioè la Musa, κυανῶπιν, “dagli occhi scuri”, aggettivo che si doveva riferire a un reale tratto fisiognomico della donna ma che richiamava certamente anche la tradizione poetica, in particolare epica. Nell’Odissea si ritrova, infatti, associato alla Nereide Anfitrite, “κῦμα μέγα ῥοχθεῖ κυανώπιδος Ἀμφιτρίτης” (XII, 60). Oltre che a una Musa, la defunta è metaforicamente associata a un usignolo, μελίγηρυν, “dalla voce di miele”. Questo usignolo è tuttavia ora ἄναυδος, “muto”, perché morto.
Il secondo epigramma, più intimo e sofferto, è il grido disperato di un amante che ha perso la sua amata e si conclude con una riflessione moralistica sulla vita degli uomini. Comincia con il motivo tipico del rapimento del defunto da parte di un’entità maligna, un δαίμων, con l’utilizzo del verbo ἁρπάζω, in questo caso in due versi successivi allo stesso modo, aspetto e persona. In questo contesto la donna viene detta una sirena, elemento evocativo di una voce melodiosa e per la seconda volta è denominata usignolo, γλυκερός, “dolce”.
L’idea della sua morte è ora espressa attraverso due immagini molto forti: gli occhi che si sono “sciolti”, τήκω, e la bocca, dorata, che è ormai “chiusa”, φράσσω, impedita nel suo naturale eloquio e nel canto.
L’epigramma si chiude dunque con l’amara constatazione che sono queste sofferenze a caratterizzare la vita dell’uomo, che è privo di speranza poiché la Tyche regna sovrana nella sua vita, impedendogli una condizione felice e rendendo tutto ἄδηλος, “nascosto”, in primo luogo la vita e la morte stesse.
L’Altmann, nel 1905, giudica che la defunta debba essere stata una poetessa, occupazione comune tra le donne colte di età imperiale. L’acconciatura, poi, caratterizzata da una struttura a torre di diverse trecce, la indica, secondo l’autore, come appartenente all’età adrianea (1905, p. 212). La Kajanto nella sua disamina sugli epigrammi greci diffusi a Roma ritiene che essi fossero impiegati come elemento di distinzione, nelle sepolture di personaggi di un elevato ceto che sceglievano la lingua greca per la sua antica tradizione epigrammatica (1963, p. 6).
La Nicoletti esamina l’iscrizione in un studio sui monumenti con tracce di bilinguismo greco-latino; in particolare individua, in alcuni, l’uso del “tag-switching”, cioè l’inserimento di parole all’interno di testi in lingua differente. Le pare, inoltre, interessante notare come sia testimonianza del cambiamento della figura della donna nella società romana. Se nelle iscrizioni di età repubblica il ruolo della donna si applica essenzialmente in ambito domestico, nella prima età imperiale si assiste a un parziale cambiamento del paradigma delle virtù femminili. In questo periodo l’istruzione coinvolge anche le donne, sebbene come fenomeno circoscritto alle élite cittadine, e sembrano acquisire una maggior influenza e indipendenza, al punto che la defunta Petronia Musa può essere elogiata per il talento nell’ambito musicale-poetico (2019, pp. 94-99).
Riguardo un inquadramento cronologico dell’ara, le ipotesi di datazione, in gran parte concordi, propongono l’età traianea o adrianea soprattutto sull’osservazione dei tratti fisionomici della defunta, in particolare della capigliatura. La Nicoletti, suggerisce, invece una datazione più antica, fra l’età flavia e quella traianea. La scultura si può indicativamente inquadrare tra il 110 e il 140 d.C.
Giulia Ciccarello