L’ara è ricordata nel 1650 e nel 1700 nel I Recinto della Villa Borghese, dove rimane custodita fino al 1832 quando risulta menzionata nella sua attuale collocazione nel Portico.
La scultura parallelepipeda presenta un’articolata modanatura nelle estremità superiore e inferiore; sui fianchi sono raffigurati gli utensili dei sacrifici rituali, una patera e una piccola brocca. La faccia anteriore riporta l’iscrizione funeraria dedicata dal marmorario Quinto Giulio Mileto, proveniente da Tripoli, autore della costruzione di un “labirinto”.
La menzione di Settimio Severo nell’invocazione induce a datare la scultura agli inizi del III secolo d.C.
Collezione Borghese, citata per la prima volta dal Manilli nel I Recinto della Villa Borghese, lungo il “vialone di Olmi e Cipressi” (1650, pp. 12-14). Inventario Fidecommissario Borghese 1833, C., p. 41, n. 1. Acquisto dello Stato, 1902.
KYINTOC IOYΛIOC MIΛHTOC
ΠΡOΛIΠΩΝ ΑCIAC TΡΙΠΟΛΙΝ
ΠΑΤΡΙΔΑΝ ΠΟΛΙΝ ΑΓΝΗΝ
ΕΝΘΑΔΕ ΗΛΘΑ ΑΓΩΝΑ ΙΔΕΙΝ
ΠΡΟΚΑΘΕΖΟΜΕΝΟΥ ΒΑCΙ
ΛΕΥΟΝΤΙ CΕΒΗΡΩ ΚΑΙ ΠΟ
ΡΙCΑC ΒΙΟΝ ΕΚ ΚΑΜΑΤΩΝ
ΙΔΙΩΝ ΤΑΥΤΑ ΕΠΟΙΗCΑ
ΕΓΩ ΑΠΑΤΗΝ ΤΟΙC
ΖΩCΙΝ ΕYΦΡΑΙΝΕCΘΑΙ
ΦΙΛΟΙ ΕΙC ΛΑΒΥΡΙΝΘΟΝ
ΑΕΙ ΜΑΡΜΑΡΑΡΙΩΝ
ΤΟ ΓΕΝΟC ΣΩΖΕ
CΕΡΑΠΙ
Ο ΤΟΠΟC ΛΑΒΥΡΙΝΘΟC
L’ara, di forma parallelepipeda, presenta un basamento composto inferiormente da uno zoccolo articolato in un listello, una gola rovescia, un secondo listello e una fascia lavorata grossolanamente a gradina. La modanatura del coronamento è costituita da un listello, sotto il quale è presente un ovolo liscio, seguito da una gola rovescia. Sui fianchi destro e sinistro si conservano rispettivamente la patera, una tazza per le libagioni, e un urceus, una piccola brocca. Sul lato anteriore, il campo epigrafico è incorniciato da una fascia e da una gola rovescia. L’iscrizione funeraria, in lingua greca, si articola in quindici righe ed è riferita a Quinto Giulio Mileto. Jan Gruter la riporta nelle sue Inscriptiones antiquae totius orbis romani, nel 1602, senza però indicarne la provenienza (p. MLXXX, n. 3):
KYINTOC IOYΛIOC MIΛHTOC
ΠΡOΛIΠΩΝ ΑCIAC TΡΙΠΟΛΙΝ
ΠΑΤΡΙΔΑΝ ΠΟΛΙΝ ΑΓΝΗΝ
ΕΝΘΑΔΕ ΗΛΘΑ ΑΓΩΝΑ ΙΔΕΙΝ
ΠΡΟΚΑΘΕΖΟΜΕΝΟΥ ΒΑCΙ
ΛΕΥΟΝΤΙ CΕΒΗΡΩ ΚΑΙ ΠΟ
ΡΙCΑC ΒΙΟΝ ΕΚ ΚΑΜΑΤΩΝ
ΙΔΙΩΝ ΤΑΥΤΑ ΕΠΟΙΗCΑ
ΕΓΩ ΑΠΑΤΗΝ ΤΟΙC
ΖΩCΙΝ ΕYΦΡΑΙΝΕCΘΑΙ
ΦΙΛΟΙ ΕΙC ΛΑΒΥΡΙΝΘΟΝ
ΑΕΙ ΜΑΡΜΑΡΑΡΙΩΝ
ΤΟ ΓΕΝΟC ΣΩΖΕ
CΕΡΑΠΙ
Ο ΤΟΠΟC ΛΑΒΥΡΙΝΘΟC
Io, Quinto Giulio Mileto,
lasciata Tripoli di Asia,
veneranda città che mi diede i natali,
venni qui a vedere i giochi
presieduti dall’impera-
tore Severo e, guada-
gnandomi da vivere con il mio
lavoro, questo ho fatto
io, un inganno per
coloro che sono in vita, perché si divertano
gli amici nel labirinto.
Sempre dei marmorari
La stirpe proteggi
o Serapide
il luogo (è) il labirinto.
Si tratta quindi dell’ara funeraria di un marmorario proveniente da Tripoli, in Asia, che giunto in una città per assistere agli agoni in onore di Settimio Severo, si vanta di aver realizzato un labirinto nel quale esorta gli amici a divertirsi. La sua passione per il lavoro non solo gli fornisce i mezzi per vivere ma anche per lasciare ai propri amici un divertissement, un inganno: la costruzione di un labirinto. La mancanza di ulteriore documentazione rende impossibile l’identificazione di tale monumento e la sua destinazione.
L’ara è ricordata da Manilli nel I Recinto della Villa Borghese, lungo il “vialone di Olmi e Cipressi”, come base di una statua di Plotina Augusta (1650, pp. 12-14). Nello stesso luogo è menzionata nel 1700 dal Montelatici, all’interno di una grande nicchia a sostegno di un “gruppo di marmo scolpito in mezzo con un vaso, e con due putti, e due delfini ai lati”, sopra il quale era collocato un ritratto maschile “una testa, o busto di marmo, che per una fascia, che tiene su’l petto, mostra di essere un ritratto incognito di Persona Consolare” (1700, pp. 30-31). Il Nibby, che la colloca nella sua attuale posizione nel Portico, fornisce una dettagliata interpretazione dell’iscrizione e del personaggio. L’autore, che traduce il participio ΠΡΟΚΑΘΕΖΟΜΕΝΟΥ con la qualifica di prefetto, attribuendola al committente dell’agone, suppone, sulla base anche dell’invocazione finale a Serapide, che il “labirinto” possa esser stato realizzato, scavando “intricati sotterranei” direttamente “nelle cave di pietre”, ad Alessandria di Egitto durante i giochi offerti dal prefetto di Leto, nel 201 d.C., in onore di Settimio Severo. Il Nibby ricorda, inoltre, una seconda ara, citata dal Gruter, dedicata a un Quinto Giulio Mileto, definito “uomo ionico”, conservata presso le “Terme di Agrippa nella casa de’ Maffei” e ipotizza si tratti dello stesso personaggio dell’ara Borghese, che arriva a definire “uno de’ meccanici più industriosi del principio del III secolo” (Gruter 1602, p. CCCXXX; Nibby 1832, pp. 17-20). Il Moreno, invece, identifica negli agoni i ludi secularis celebrati a Roma nel 204 d.C. in onore di Settimio Severo e colloca la realizzazione della scultura ai primi anni del principato di Caracalla (Moreno, Viacava 2003, pp. 83-84, n. 36). La menzione di Settimio Severo induce a inquadrare la scultura nell’inizio del III secolo d.C.
Giulia Ciccarello