La tela rappresenta una delle tante versioni del celebre Autoritratto di Tiziano visto da Giorgio Vasari nello studio dell’artista nel 1566. Tuttavia, a differenza del dipinto autografo, l'esemplare Borghese si concentra unicamente sul volto dell'anziano pittore, qui ritratto senza la catena con lo Speron d’oro, ricevuta nel 1533 dall’imperatore Carlo V come segno di riconoscimento.
Polittico ottocentesco dorato (cm 37 x 99 x 5,4)
Roma, collezione Borghese, 1693 (Inventario 1693, Stanza IV, n. 182; Della Pergola 1964); Inventario 1700, Stanza IV, n. 13; Inventario Fidecommissario Borghese 1833, p. 20. Acquisto dello Stato, 1902.
Questo ritratto, attestato in collezione Borghese a partire dal 1693, è stato da sempre accostato a Tiziano Vecellio, talvolta descritto come suo autografo (Inv. 1700), talvolta come prodotto della sua bottega (Fidecommisso 1833; Piancastelli 1891; Venturi 1893).
Il primo a parlare debitamente di copia fu Ernst Z. Platner (1842), seguito nel 1955 da Paola della Pergola, i quali individuarono rispettivamente il suo prototipo nell'Autoritratto degli Uffizi (Inv. 1890, 1801; Platner 1842) e diverse affinità (Della Pergola 1955) con una versione dell'Ambrosiana e con la figura del Doppio ritratto del Castello Reale di Windsor; da questo esemplare, a detta della studiosa, deriverebbe anche l'incisione per le Meraviglie dell'arte di Carlo Ridolfi.
La versione Borghese, eseguita con tutta probabilità nel XVII secolo, sembra invece discendere dall'Autoritratto della Gemäldegalerie di Berlino (inv. 2370) in cui il maestro cadorino, autoritrattosi intorno al 1560, indossa un'ampia giubba senza maniche e la catena d'oro donatagli nel 1533 dall'imperatore Carlo V. È probabile che per tale occasione il pittore decidesse di presentare la propria immagine esemplandola su modelli famosi, come il Ritratto di Tommaso Inghirami di Raffaello Sanzio che, analogamente alla tela berlinese, mostra l'effigiato con la testa lievemente sollevata e lo sguardo che si allontana dall’osservatore. Tale dipinto, con buona probabilità lo stesso visto da Giorgio Vasari a Venezia nel 1566 - che tuttavia parlò di opera finita - fu ceduto dal figlio di Tiziano, Pomponio Vecellio, a Cristoforo Barbarigo, presso il quale dovette essere replicato nel corso del XVII secolo prima di passare nelle mani di Leopoldo Cicognara e di Edward Solly, giungendo infine su suolo tedesco. L'esemplare Borghese, invece, cassando il dettaglio della collana d'oro, si concentra unicamente sul volto dell'anziano pittore, simile in questo ad un altro ritratto sempre degli Uffizi (Deposito; inv. 1890 n. 1807; cfr. Puppi 2007), acquistato nel 1677 da Francesco Schilders, agente di Cosimo III, spesso confuso con il già citato Autoritratto (Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 1801), identificabile secondo alcuni (Puppi 2007) con il 'ritratto dal naturale del celeberrimo signor Titiano', lasciato dal Maestro in eredità al congiunto Vecello Vecellio e da questi passato a suo figlio Tiziano detto l'Oratore (1538-1612).
Antonio Iommelli